22 dicembre 2010

La fiducia è solo in Dio

E più che invecchio, più scopro risonanze profonde nei Salmi che si propongono alla mia riflessione quotidiana.

Salmo 72, 21 - 28
Quando si agitava il mio cuore
e nell'intimo mi tormentavo,
io ero stolto e non capito,
davanti a te stavo come una bestia.

Ma io sono con te sempre:
tu mi hai preso per la mano destra.
Mi guiderai con il tuo consiglio
e poi mi accoglierai nella tua gloria.

Chi altri avrò per me in cielo?
Fuori di te nulla bramo sulla terra.

Vengono meno la mia carne e il mio cuore;
ma la roccia del mio cuore è Dio,
è Dio la mia sorte per sempre.

Ecco, perirà chi da te si allontana,
tu distruggi chiunque ti è infedele.

Il mio bene è stare vicino a te Dio:
nel Signore Dio ho posto il mio rifugio,
per narrare tutte le tue opere
presso le porte della città di Sion.

13 dicembre 2010

Principio di una lontana amicizia.

Qualcuno mi chiede dove e a quando riusale il mio primo incontro con Don Lelio Mannari. Un incontro che poi diventò una vera amicizia intessuta di frequentazioni rare ma per per me importanti perché riuscivo a ricucire il discorso sul punto dove era stato interrotto. In definitiva è questa la domnda che mi fanno: da quando lo conoscevi per aver titolo di parlarne con tanta sicurezza?
Ed io rispondo. Rispondo così. partendo da lontano lontano. Avevo si e no 12 anni e stavo passando uno scorcio delle vacanze estive nella Canonica di Don Danilo Maltinti, parroco di Cenaia. Don Danilo Maltinti era stato Sacrista in Cattedrale al tempo della voce che mi chiamò e che io seguii fino a salire per la prima volta quella rampa del nostro Seminario. Ora Don Maltinti era contento di riavermi vicino nella sua nuova Cura d'Anime a Cenaia. Ad un certo punto commparve in Canonica un prete di solida corporatura, che non pareva aver subito le privazioni della guerra. Doveva essere sulla trentina; gli occhi erano così cupi e vivaci da mettere quasi paura, almeno in un in un primo momento. Capelli nerissimi e riccioluti, ma non cresputi, gli coronavano le tempie, gli scendevano fino alla nuca e formavano una capigliatura che ai più poteva sembrare una parrucca da teatro. A Cenaia Don Lelio era stato invitato da Don Danilo per predicare un Triduo per una festa della Madonna. Le tre prediche che ascoltai in quella chiesa furono i sermoni più belli che abbia mi ascoltati da questo predicatore. Il tema che trattò fu semplicemente un commento dello "Stabat Mater". Stupore, ammirazione e commozione per questo oratore che ci metteva l'anima e anche il corpo nel partecipare ad altri l'emozione che lui stesso provava quando trasmetteva il suo pensiero. Solo più tardi arrivai a capire che l'arte oratoria è anche esercizio delle passioni più alte.
Secondo consuetudine antica il predicatore prendeva letteralmente stanza in Canonica, mangiava alla stessa mensa del parroco sia pranzo che a cena. Bisogna sapere che la Parrocchia di Cenaia era del tutto sprovvista di Beneficio parrocchiale, ma aveva una grande risorsa: la generosità dei parrocchiani. C'era un incessante bussare alla porta di don Maltinti proprio in tempo di guerra.
Chi portava un pane dell'ultima infornata; qualcuno aveva pensato di donare un coniglio già spellato o un pollo già spennato. Le primizie dei campi e degli orti erano destinati ad un parroco amatissimo da tutta la popolazione. In quel periodo Don Danilo soffriva di una inesplicabile disappetenza; ma in tavola c'era quanto poteva, non solo placare la fame, ma anche sedare l'appetito. Un appetito così grande in me e don Mannari da fare "respice finem" di ciò che compariva davanti.
Siccome Don Mannari aveva deciso di pernottare in Canonica e la stanza degli ospiti era una sola, bisognò adattarsi nella stessa camera da letto. Don Mannari scelse il letto bastardo, mentre il mio lettino, ricordo, era quasi appoggiato al muro. Faceva caldo e dall'orto della Canonica, che era anche irrigato, si levavano ad una cert'ora nugoli di zanzare che ci avrebbero mangiati vivi. Tra i due letti la spirale dello zampirone sprigionava quella nebbiolina azzurra ed insieme esalazioni sgradevoli; se erano mortali per le zanzare una ragione ci doveva essere. Insomma lo zampirone ci teneva svegli. La prima parte della notte era una vera e propria veglia, ma non come quelle che si fanno ora... Mannari imperversava con le domande ed io rispondevo. Anch'io facevo le domande e allora era lui che rispondeva. Per ore di seguito. In quelle notti sperimentai per la prima volta la gioia di apprendere e quella di possedere. Che cosa? Un po' di sapienza.
E questo è quello che disse Don Lelio a Don Danilo: Da questo bambino ci verrà fuori un filosofo!
Due volte lo disse. Talvolta ci ho ripensato confrontandomi severamente con ciò che potevo essere o diventare; è per questo che non credo ai pronostici.

09 dicembre 2010

Un pinzo di zanzara

Io so di un grande campione che dopo aver colto tutte le vittorie, ormai ricco e pieno di gloria, volle andare a caccia in Africa.
Dicono che abbia ucciso animali feroci.... leoni e magari elefanti.
Lo pinzò una zanzara che lui non vide nemmeno e così morì di malaria: uno abbatte degli elefanti e può morire per un pinza di zanzara.

Rammentare e ricordare

Un giorno morì un uomo che aveva insegnato a parecchie persone.
Alcuni rammentavano le sue parole, perché erano rimaste impresse nella loro mente. Questi erano
soltanto scolari.
Altri ricordavano le sue parole, perché erano rimaste impresse nel loro cuore. Questi erano
veramente dei discepoli.
Se l’eredità che lasciò fu diversa, fu solo perché diverse erano le persone che erano rimaste.

Come fu forte una ragnatela

Io so di un Re che una parte dei suoi sudditi non voleva più.
Un giorno, inseguito da un drappello armato, stava fuggendo nella campagna, quando vide una caverna, una specie di buca scavata nel tufo. Sulla bocca della galleria c’era una grande ragnatela; non la ruppe e passando carponi la lasciò intatta.
Quando passarono di lì i soldati, ce ne fu uno che disse: - Di qui non c’è passato nessuno di sicuro, sennò si sarebbe rotta questa ragnatela.
E passarono oltre.
Così la tela di un piccolo ragno custodì una grotta meglio di qualsiasi inferriata.

07 dicembre 2010

Lamento per un'amicizia tradita

Nel grande rotolo che quotidianamente scorre ogni giorno per chi recita
il breviario, stamani è ritornato agli occhi della mente questo salmo ( ps. 57 13-17


Se mi avesse insultato un nemico, io l'avrei sopportato,
se fosse insorto contro di me un avversario
da lui mi sarei mi sarei nascosto.

Ma sei tu, mio compagno,
mio amico e confidente;
ci legava una dolce amicizia,
verso la casa di Dio camminavamo in festa.

Io invoco Dio e il Signore mi salva.
Di sera, al mattino e a mezzogiorno
mi lamento e sospiro
ed Egli ascolta la mia voce,

26 novembre 2010

Non se la sentì

Si tratta del grande Papa Leone Magno. Pare che nel giorno di Natale, quando ormai era parato per
celebrate la Messa, gli vennero a dire che a Roma era morto uno di fame.
Lentamente cominciò a deporre i paramenti.
- Ma che fate, Padre? C’è tutta la gente che aspetta questa Messa!
- Oggi non me la sento - rispose il Papa - se non siamo stati capaci di spezzare il pane terreno ed uno
fra noi è morto per questo, allora non è giusto nemmeno spezzare il pane celeste.

25 novembre 2010

Un frutto curioso

Precedentemente in questo blog avevo riportato una serie di ciliegie, col sottinteso che una ciliegia tira l'altra, trattandosi di un frutto fuori stagione, avevo annotato semplicemente che queste ciliegie provenivano da un altro emisfero.
A questo punto ho deciso di connotare le mie Storielle minime con l'immagine delle Sorbe (questa volta, frutti di stagione), per le quali esiste un proverbio toscano che sembra un invito ad una paziente riflessione:
Col tempo e con la paglia maturano le sorbe

La sorba è un frutto di un albero di bosco, ne esistono molte varietà; alcune sono rotonde, altre sono fatte a pera, naturalmente in dimensioni molto ridotte.
La sorba è molto acidula e praticamente immangiabile prima di un appassimento nella paglia.
E' fortemente astringente e, al tempo stesso, molto diuretica. Viene impiegata e apprezzata in marmellate e bibite alcoliche.

La pietra nel campo

Fu trovata in un campo una pietra grossa grossa. C’era della gente intorno a discutere sul modo migliore di smuoverla. Qualcuno diceva che bisognava sbriciolarla con la dinamite. Altri dicevano che si poteva tentare di spingerla a braccia. I più consigliavano di lasciarla stare, dato che ormai c’era.
Un passante, che si era fermato ad ascoltare, prese una ghianda e la seppellì vicino.
Col passare degli anni una grande quercia prese il posto della grossa pietra.

23 novembre 2010

Quell'uom di moltiforme ingegno

Non c'è da invocare la musa ispiratrice per definire il Mannari " Quell'uom di multiforme ingegno"; così è detto Ulisse nel prologo dell'Eneide di Virgilio, tradotta da Annibal Caro.
Abbiamo ormai ridefinito il concetto di cultura. Cultura non è solo conocenza di lingue, saper organizzare nozioni riconducendo ad unità la molteplicità dei dati appresi; cultura è guardare il cielo e capire che tempo farà, è anche seminare, raccogliere secondo le fasi lunari, cultura è anche l'arte della caccia e della pesca, è saper cucinare secondo una ricetta che ti è stata trasmessa.
Dovevo annoiarvi un po' con questa premessa perché volevo spiergarvi come don Lelio, uomo di cultura, esercitava le attitudini intelletuali finalizzandole anche ad un risultato pratico.
Quando entrava in una canonica, qualunque canonica, tornava ad impadronirsi dell'archivio, ogni tanto sbottava in una bella risata, o usciva in qualche esclamazione di meraviglia: segno che leggendo le memorie di qualche parroco aveva scoperto qualcosa d'interessante. O di divertente.
Dentro e fuori della chiesam iscrizioni, sentenze ed epitaffii erano il suo pane. Se si trovava lì per qualche ciclo di prediche metteva a lucido gli argenti della sacrestia e i rami della cucina. Solo per discrezione non chideva un grembiale come uno che sa stare ai fornelli ( cosa che avrebbe fatto volentieri ).
Sapeva fare la maglia e perfino la trina. Perfetto ortolano, negli orti di Crespina e di Santa Maria a Monte usava la vanga a due puntate ( quasi un mezzo scasso) e sorprendeva tutti per gli ortaggi che tirava fuori.
Per diversi anni io ero invitato a cena a Crespina per una mangiata di fegatelli preparati da lui; era tutto speciale: il cibo, il vino e quel nostro discorrere sulle cose e sulle parole che non aveva mai fine. Pernottavo in canonica, ma di buon mattino io dovevo partire alla volta del Seminario dove mi aspettavano i miei alunni. Una volta, in sella al mio Lambrettone, ero sgomento nel vedere la strada tutta ghiacciata. Faceca un freddo cane. Lui venne con una cosa in mano. Era un copricapo con due falde laterali. Mi disse: "Questo lo fatto io secondo una vecchia usanza. E' un camauro come quello che portano i Cardinali; mettitelo, tu vedrai come ti protegge gli orecchi."
Quel copricapo a me sembrò piuttosto la cuffia di Nuvalori. Nel vedermi arrivare i Seminaristi
si divertirono un po', ma anche loro pensarono a Nuvolari. Che tempi!

12 novembre 2010

Fiaba quasi politica

Un uomo, che voleva fare un manico per la sua scure, andò in un boschetto in cerca del legno più adatto. Tutti gli alberi intorno incominciarono a dirgli: « Se vuoi un ramo davvero forte prendi un ramo dall’olivastro ». L’uomo prese un ramo dall’ olivastro e ci fece un bel manico.
Dopo averlo infilato nella scure, si mise a tagliare tutti gli alberi che 1’avevano consigliato a scegliere il manico.

Fiaba più che politica

Un tempo il cavallo doveva vedersela col cervo, che, avendo le corna, aveva quasi sempre la meglio.
Allora il cavallo si presentò all’ uomo e gli disse: « Sali sulla mia groppa e aiutami a superare il mio avversario ».
Il cavallo con l’aiuto dell’uomo riuscì a cacciare il cervo nelle selve. «Abbiamo vinto;
- disse all’uomo - ora puoi scendere ».
« Non ci penso nemmeno! - rispose l’uomo- D’ora in avanti tu sarai il cavallo, io il cavaliere».

04 novembre 2010

Chi lo rinnoverà

Quando, una sessantina d'anni fa, fu fatto un nuovo cimitero a Pino, tutti si facevano una do-manda in cui, più che curiosità, c'era un bri-vido di paura. Chi lo rinnoverà? Si chiedevano quel vec-chietti che se ne stavano a fumare la pipa al so-licchio di primavera. Chi lo rinnoverà? Si domandavano le vecchiette che si trattenevano in Chiesa dopo le funzioni tra le nebbioline turchine dell'incenso. Successe che morì per primo un bambino piccino piccino. Quando moriva un angiolino, le ragazze lo portavano al camposanto in una bara bianca. E fu così. Nessuno avrebbe pensato che a rinnovare il cimitero dovesse toccare a questa creaturina che usciva di casa per la prima volta e per andare laggiù.

Il fatto continua

Tutti ora si facevano un'altra domanda; Che ci farà questo bambino solo solo in un cimitero tutto per lui? Un poeta che viveva in una bella villa sul poggio scese una notte per vedere…
S'accorse di una cosa: su un albero, quello stesso che di giorno copriva con la sua ombra la tomba del bambino, un uccellino gli faceva compagnia cantando per ore e ore tutta la notte. Ritornò a casa tutto contento: il bambino non era solo.

Elogio della Sapienza

Questo brano è tratto dal libro della Sapienza [8, 2-21].
L'elogio della Sapienza si traduce nell'elogio anche di chi la possiede.

Questa (Sapienza) ho amato e ricercato fin dalla mia giovinezza,
ho cercato di prendermela come sposa,
mi sono innamorato della sua bellezza.
Essa manifesta la sua nobiltà,
in comunione di vita con Dio,
perché il Signore dell’universo l’ha amata.
Essa infatti è iniziata alla scienza di Dio
e sceglie le opere sue.
Se la ricchezza è un bene desiderabile in vita,
quale ricchezza è più grande della sapienza,
la quale tutto produce?
Se l’intelligenza opera,chi, tra gli esseri, è più artefice di essa?
Se uno ama la giustizia,
le virtù sono il frutto delle sue fatiche.
Essa insegna infatti la temperanza e la prudenza,
la giustizia e la fortezza,
delle quali nulla è più utile agli uomini nella vita.

Se uno desidera anche un’esperienza molteplice,
essa conosce le cose passate e intravede le future,
conosce le sottigliezze dei discorsi
e le soluzioni degli enigmi,
pronostica segni e portenti,
come anche le vicende dei tempi e delle epoche.
Ho dunque deciso di prenderla
a compagna della mia vita,
sapendo che mi sarà consigliera di bene
e conforto nelle preoccupazioni e nel dolore.
Per essa avrò gloria fra le folle
e, anche se giovane, onore presso gli anziani.
Sarò trovato acuto in giudizio,
sarò ammirato di fronte ai potenti.
Se tacerò, resteranno in attesa;
se parlerò, mi presteranno attenzione;
se prolungherò il discorso,
si porranno la mano sulla bocca.
Per essa otterrò l’immortalità
e lascerò un ricordo eterno ai miei successori.
Governerò i popoli e le nazioni mi saranno soggette;
sentendo il mio nome sovrani terribili mi temeranno,
tra il popolo apparirò buono e in guerra coraggioso.

Ritornato a casa , riposerò vicino a lei,
perché la sua compagnia non dà amarezza,
né dolore la sua convivenza,
ma contentezza e gioia.
Riflettendo su tali cose in me stesso
e pensando in cuor mio
che nell’unione con la sapienza c’è l’immortalità
e nella sua amicizia grande godimento
e nel lavoro delle sue mani una ricchezza inesauribile
e nell’assiduità del rapporto con essa prudenza
e nella partecipazione ai suoi discorsi fama,
andavo cercando come prenderla con me.
Ero un fanciullo di nobile indole,
avevo avuto in sorte un’anima buona
o piuttosto, essendo buono,
ero entrato in un corpo senza macchia.
Sapendo che non l’avrei altrimenti ottenuta,
se Dio non me l’avesse concessa,
– Ed era proprio dell’intelligenza
Sapere da chi viene tale dono –
Mi rivolsi al Signore e lo pregai.

29 ottobre 2010

La storia...

Una nave salpò.
Questo missionario che salutava la sua terra era parecchio giovane. I passeggeri dicevano:
— È un vero peccato che sia un sognatore!
Lui sognava di convertire tante anime, di battezzare tanti bambini, sognava di costruire una chiesa
ed una scuola.
Invece non battezzò nessuno e non costruì proprio niente perché la febbre gialla, che prese appena
arrivato, lo portò via in due settimane.
Lo seppellirono sotto una palma. Non fece nulla e non lasciò nulla. Per eredità, lasciò i suoi sogni.

... e la fiaba

Ma i suoi sogni erano ancora buoni perché erano ancora intatti. Io non so se fu il vento a riportarli verso la sua terra.
Altre navi salparono. Furono battezzati molti bambini; molti, fra i grandi, trovarono la fede.
Sorsero delle chiese e delle scuole,
Dei passeggeri, siccome non sapevano sognare, smisero anche di dormire.

Una predica che non venne a noia

Un giorno un monaco di Sorrezzana, tra Moriolo e Balconevisi, radunò i suoi discepoli sotto una querce perchè voleva fare una predica all'aperto. Prima che cominciasse a parlare, un uccellino che stava sopra un ramo principiò a cantare. Tutti si misero a sentire: zitti zitti.

Quando smise, il monaco si alzò e disse: "La predica è bell'e finita; possiamo andare!"

Un buon consiglio

Quando l'Arno si passava a guado o con traghetti perché i ponti erano di molto radi, si presentò un forestiero al barcaiolo e gli disse che gli avrebbe insegnato il modo di fare soldi se l'avesse traghettato senza farsi pagare. Tutta contento, il barcaiolo lo fece salire e lo portò sull'altra riva.
Come fu arrivato, il forestiero si voltò e gli disse: "Se vuoi fare quattrini fatti sempre pagare, bischeraccio!".

28 ottobre 2010

Una ricetta di Don Mannari online

E' la ricetta del Tegolato (vino invecchiato tra le tegole) che Don Mannari mi consegnò quando era parroco di Crespina.

Il tegolato della Canonica di Crespina

Si piglia il vino nero, limpido, di seconda bollitura,
ma che sia un vinone, si versa nel fiasco,
che però deve rimanere un po’ scemo
perché, sennò, il sughero parte.
Si tura bene e s’incerallacca.
I fiaschi vanno messi a giacere su gl’embrici
tra tegolo e tegolo ancorati con un cordino
all’abbaino e si lasciano a tutte l’intemperie.
Per anni e anni ce ne possiamo dimenticare.
Quando si ripiglia, il fiasco non deve essere caldo,
e non va sciabordato. Va tenuto al fresco prima di travasarlo con la tromba.
Si serve in un’unica mescita portando i bicchieri verso il fiasco
e non il fiasco verso i bicchieri. Il fondo va buttato via.
Garba ai bevitori sani e fa bene ai convalescenti e alle donne in cinta.


Canonico Lelio Mannari


Alla voce "il tegolato" su Google compare, come primo risultato, proprio il sito www.old-labels.com che presenta questa ricetta.

Senza spine

Questa storia successe al tempo degli antichi romani.
Una donna spirò. Il vedovo, secondo l’usanza della povera gente, fece avvolgere la «salma» in un semplice lenzuolo.
Il cammino che si doveva fare passava per forza attraverso una via stretta, tra siepi di spine. Lungo il tragitto, delle spine punsero il corpo della donna che riprese. Insomma rinvivì e campò diversi anni.
Quando morì davvero, fu ancora rinvolta nel suo lenzuolo. Il marito, che era un uomo premuroso, disse agli amici: - Questa volta sarà meglio togliere le spine!

09 ottobre 2010

Darsi del tu

Stamani sono entrato in una bottega di alimentari. C'era già un cliente prima di me, che poi si è trattenuto mentre io ordinavo due etti di formaggio. Stefania mi ha servito e così quel signore ed io stavamo per uscire. A questo punto Stefania ha detto: "Ciao Luciano!". A quel saluto io sono ritornato indietro e le ho detto: "finalmente Stefania mi hai chiamato semplicemente Luciano!". E lei mi ha detto: " guardi che quel signore che è uscito si chiama anche lui Luciano; io mi riferivo a lui; con lei non me lo sarei mai permessa, Don Luciano".
Io ci sono rimasto un po' male. La gente ti da del lei spesso per tenerti lontano, non si limita a chiamarti per nome, quel nome scusso scusso che ti hanno dato al battesimo. Io non capisco perché danno del tu al mio Dio ed a me danno del lei.
Io non capisco perché si chiama Reverendo un semplice Prete, Eccellenza per il Vescovo, Santità per il Papa. Il pensiero di San Tommaso D'Aquino è faro del mio pensiero. Ebbene l'Angelico dottore dice che le proprietà positive espresse in astratto competono soltanto a Dio. Si dice infatti Immensità di Dio, Eternità di Dio, Bontà di Dio.
A questo punto si evidenzia una cosa: dire che un uomo è Santità è una vera bestemmia da un punto di vista teologico. Teologicamente parlando è sbagliato attribuire ad un uomo una proprietà che compete soltanto a Dio. Lo ripeto, soltanto Dio è Santità.

02 ottobre 2010

Mannari gastronomo.

Già gli facciamo omaggio se precisiamo, come avrebbe fatto lui, il significato di questa parola Gastronomo non vuol dire ingordo, mangione, e neppure buongustaio. E' piuttosto uno che conosce il cibo nella sua causa e che perciò non è solo capace di gustarlo ma anche di confezionarlo.
Gastronomo è quello che accontentandosi anche di un di minestrone, lo prepara con gli ingredienti giusti in una cucina in cui l'odore basta ad annunciare il sapore della vivanda.
Si scopre che molti scrittori possedevano quest'arte, e la esercitavano.
Mannari era maestro nel preparare vivande, bevande e anche dolciumi secondo le regole della cucina toscana.
Poso chiamare a testimone don Giampiero che è stato suo cappellano a Santa Maria a Monte ed ora è parroco di Cigoli.

27 settembre 2010

Mannari: popolano o accademico?

Era tutti e due insieme.
I suoi studi e le sue frequentazioni gli consentivano di posizionarsi in tutti gli ambienti. Sapeva come parlare al popolo e alle persone colte. Io dico che senza essere vanesio, voleva essere sempre convincente. Vincente, soprattutto; e su questo non gli risparmiavo qualche rimprovero; però riconosco che era bravo, troppo bravo.
Erano tempi, per il clima politico in cui si viveva, che gli insulti imperversavano più dei ragionamenti. Un uomo gli disse: "Figlio d'un cane!". Don Mannari gli rispose con una parola sola pronunciata con la tenerezza di un figlio affezionato: "Babbo!". L'avversario dovette concludere che se lì c'era un cane, il cane era proprio lui.
Se uno insisteva troppo per avere la ragione, don Lelio diceva: "Non posso darti ragione, sennò, il cogli...e sarei io". La forza del discorso stava, non tanto nella parolaccia (l'ho detto che lui non rinunciava al linguaggio del popolo), quanto nell'impiego maligno del condizionale. Come dire: siccome l'ipotesi di essere un cogli...e non vale per me, vale proprio per te!
Mannari era quello che quando si trovava infermo in ospedale i medici facevano cerchio intorno al suo letto, ma non per un consulto; semplicemente per il diletto di sentire le sue parole che erano una cascata di ghisa e di miele.
Ricordo che ad un pranzo importante in Seminario, presente tutto il collegio degli insegnanti, lui si alzò e parlò; fu succulento come una portata d'arista, tonico e gustoso come un chianti di tre anni.
Mi era accanto il Professor Viviani, mio amico e docente di Storia di Filosofia nel nostro Seminario, che alla fine del discorso mi sussurrò: spero che non provi invidia, don Marrucci, ma non mi era capitato mai di ascoltare un prete così.

23 settembre 2010

San Miniato al Tedesco


In questi due mesi mi sono proposto e, naturalmente, esposto nella vetrina di Facebook. Ho trovato tanta gente che mi ha coinvolto in questo strano (per lo più gasato e a volte languido) circuito [ma in tutti i casi da non giudicare negativo perché di fatto ti dà la possibilità di dilatare la sfera delle conoscenze]; ebbene, lì, ad un certo punto è stata avanzata una denominazione di San Miniato che non mi è mai andata giù: San Miniato “al Tedesco”. Io ho preso posizione e ho inserito due brevi post che qui riporto; e ho inteso corredarli con due immagini scattate con la Laika di Barzacchi e con qualche nota di commento.


San Miniato al Tedesco. Non mi è mai piaciuto. Per una ragione storica [Leggere il dibattito tra Alessio Alessi e Dilvo Lotti di diversi anni fa che io sottoscrivo in pieno].

Ed ancora più per una ragione personale.


Io non so cosa io abbia fatto ai Tedeschi. Ma so quello che loro hanno fatto a me. Hanno minato la casa dove sono nato e dove ho trascorso la mia infanzia. E hanno minato anche quella dove ho trascorso la mia adolescenza. Non che io rinneghi la stagione che ho trascorso nelle case popolari: ma a chiunque non condivide la mia posizione augurerei di passare attraverso questa esperienza.



Foto di macerie in via Rondoni. E’ qui che la casa della mia infanzia fu rasa al suolo.


A 18 anni composi dei versi sull'aria di una canzone. Ora ricordo soltanto una strofa e il ritornello:


Colpito il seminario

Crollò la cappelletta delle suore

Dove morì il povero Angiolino

Con gli occhi aperti ed una mano al cuore


Rit.

Allora anch’io

Dissi cos’è del paesello mio

Cercai tra le macerie fumicanti

Udivo intorno acerbi gridi e pianti

Dovetti lacrimar


Questa foto presenta le macerie anche della casa in cui ho trascorso la mia adolescenza. Fu un addio non solo alla mia casa, ma anche agli amici del casamento.


Noi capivamo con troppa chiarezza che qualcosa finiva davvero: col chiudersi di un’epoca non vedevamo che seguito avrebbe avuto quella che sarebbe subentrata. Senza casa, con un passato distrutto, ci sentimmo anche senza futuro perché l’evento di allora ci avrebbe divisi e come dispersi, noi, che essendo cresciuti insieme, non potevamo nemmeno immaginare come potessimo vivere separati.


Vedi Luciano Marrucci, “San Miniato Minato” in Come tacevano le cicale in quella estate del 1944, Edizioni Orcio d’Oro, San Miniato, 1994, pag. 29.

14 settembre 2010

Mannari filologo.

Don Lelio Mannari capì anche prima di don Milani quanta forza può avere la parola conosciuta nella sua radice. " Non vuoi più essere servo del tuo padrone? Lo sarai quando saprai una parola più di lui!". Ma da quale arsenale traeva le sue armi? E come forbiva le sue parole? Le dotte letture, le epigrafi che erano per lui parole sulla pietra, il contatto con la gente del popolo dalla parolaccia facile e dall'espressione toscanamente forte erano le prime fonti. Parecchio gli veniva dalla frequentazione assidua dell'archivio della Diocesi di Lucca, che a detta degli studiosi, registra più di ogni altro quel magico passaggio dalla lingua dei dotti, che era il latino, alla lingua volgare, parlata dal popolo della nostra Toscana. Mi disse una volta: Pensa, in un manoscritto antico ho trovato questa espressione: In temporibus hodiernis seu modernis. Tra hodiernis e modernis è annunziato il passaggio dalla lingua latina alla lingua italiana: il latino qui si arrende al linguaggio parlato e tuttavia lascia traccia di sé nella nuova parola perché moderno deriva da modo che in latino significa ora.

In hoc non laudo 2.

Lo confesso, anch'io posso cedere alla tentazione di proporre la mia immagine sullo specchio che Satana sembra avvicinarmi. E me ne accuso in confessione come uno che ha tentato di anteporre la propria figura a quella di Cristo: ho fatto schermo a Lui ogni volta che ho portato avanti il mio maledetto Ego.
Ciò detto, e in nome della verità che ci rende liberi, chiarirò l'impressione che riporto di fronte a certe riprese televisive. Succede un evento, a volte doloroso, a volte tragico, che ha coinvolto l'opinione pubblica. Ed ecco che compare il grande prelato. E' chiaro che qualcuno deve officiare...
Ma non sarà il parroco sconosciuto di quella parrocchia. E' come gli dicessero: Fatti più in là; questa è una cosa che compete a me!
Un personaggio di grande profilo nel campo della finanza, muore suicida. Il Diritto Caninoco ammonisce che in casi del genere non si può procedere a funerali solenni.
Ed ecco che compare il solito Cardinale per dire cosa? Per dire che proprio quel personaggio era amico suo e che lui stesso era amico di quel personaggio. Esequie lacrimogene!
Muore un soldato in Iraq [e ti stupisci? Siamo tutti noi che ce l'abbiamo mandato]: Ebbene quel soldato nel discorso che viene fatto diventa un martire. Ma che ne sai se lui ha effuso il suo sangue per Cristo?
Viene riportata la salma di un mercenario; se si sta attenti a quello che viene detto in Chiesa, quest'uomo è un eroe. Tra eroe e mercenario, per me c'è differenza.

Publio Virgilio Marone.

I miei versi sono come i cuccioli dell'orsa. Nascono brutti, ma lei, a forza di leccarli, li rende belli.
Publio Virgilio Marone.

13 settembre 2010

In hoc non laudo.

In hoc non laudo.
In questo non posso lodarvi.

Così conclude Sant'Agostino una allocuzione rivolta alla comunità di Ippona. Egli rileva nei suoi fedeli un comportamento che gli sembra difforme dai dettami evangelici e così concludé:"Debbo lodarvi? No! Qui non posso lodarvi!"
Ora c'è da farci un'altra domanda: Può un semplice presbitero rilevare in un vescovo quello che egli giudica in contrasto con lo spirito del vangelo e che sporge dalle direttive della stessa Chiesa? Io dico di sì, se l'errore è pubblico, cioè divulgato, e se questo può proporsi come esempio da imitare da parte di chi è stato partecipe testimone.
Dico di sì e vengo al fatto. Un vescovo di una cittadina della bassa Italia, in occasione delle esequie solenni celebrate per la morte di un sindaco, in mezzo alla'altare piglia un foglio in mano e legge quella che a me è sembrata una protesta ed anche una denuncia contro la belva umana che si è macchiata del sangue di un innocente.
Fa anche delle congetture di come potrebbero essere andate le cose. Suppongo che i carabinieri, i quali dicono che i preti sanno sempre tutto, abbiano preso nota, Anche se, questo va detto, la sua convinzione concorda con quanto scrivono i giornaliegli non avrebbe dovuta esprimere in quel momento e luogo.
Ma come? Ai poveri, ossequenti parroci di campagna arrivano da Roma severe ed inflessibili regole liturgiche:
  • Nelle messe esequiali l'omelia deve rimanere commneto del brano biblico;
  • non c'è posto per l'elogio funebre che inveve può aver luogo in fondo alla Messa;
  • l'ambone non è una tribuna in cui chiunque può esternare quello che vuole;
  • nessuno spazio anche nelle preghiere dei fedeli ad interventi estemporanei e talvolta anche isterici di chi vuole dare clamore al proprio stato d'animo.
Questo invece è dato di vedere in diverse trasmissioni televisive.

In hoc non laudo!

27 agosto 2010

Il mio blog.

Mi sono domandato come io stesso considero il mio blog. Ora posso darmi una risposta. Per me é un diario aperto. Dunque non un quadernone nero dal labbro rosso che proprio le persone più care cercano di violare ( e cosi profanare) in nome di un interessamento che è una semplice ingerenza. Ricordo che in Seminario ne avevo incominciato uno che avevo scherzosamente intitolato Le mie prigioni. Non che non mi garbasse la vita in Seminario; ma mentre amavo i miei insegnanti, quasi detestavo i miei superiori. Fui abbastanza saggio da distruggerlo in tempo.
Aperto vuol dire che i contenuti sono partecipati a chiunque. Non si tratta qui di confessare i propri peccati o di mostrare le proprie miserie: una cosa che potrebbe stupire o addirittura scandalizzare.
Qui, chi mi ama o no, chi mi stima o no. deve trovare lo svolgimento della mia giornata terrena. Presunzione o umiltà, io non lo so, vorrei incontrarmi con amici dell'anima, quando il sorriso spontaneo soppianta la lacrima cercata. Mi rendo conto di parlare anche a gente che ancora non è nata. A persone che tra cinquanta'anni ne avranno solo venti. Loro, lo so, apriranno questo diario ed oggi io vivo nella considerazione e nell'affetto di persone cui ho indirizzato queste pagine. Proprio come una lettera d'amore chiusa e sigillata tanti anni fa.
§ Vorrei che il mio blog sopravivesse non soltanto a me, ma anche a quei pochi che ora mi seguono con un certo interesse. I miei eredi, intendo dire quelli che possono interpretare la mia definitiva volontà, non devono preoccuparsi di tenere accesa una lampada votiva; ma questa mia presella conquistata nell'incommensurabile spazio del Web, la devono conservare, magari integrandola con i molteplici scritti disseminati nella mia home. Mi colpì una stupenda iscrizione su un portale dell'abbazia di Calci. EXI SED NON OMNIS - ESCI MA NON DEL TUTTO. Esci, ma lascia qualcosa di te a chi rimane. Lo confesso, io che non ho una casa, e nemmeno un pezzettino di terra nella mia bella Toscana, penso, col il mio Blog, di lasciare qualcosa. Lo dico anche agli sconosciuti che mi conosceranno.

24 agosto 2010

Una predica alla bistecca.

Una volta Don Mannari fu chiamato a predicare nella parrocchia dell'Isola. L'aveva invitato per un ciclo di prediche Don Aldo Stacchini, suo compagno di studi in Seminario. Arrivato in cucina, vide una pentola al fuoco che mandava un borbottio familiare: la scoperchiò e quello che vide fu un gran ballo di fagioli. Allora don Lelio si rivolse a Don Aldo e così gli disse:" Senti! Stammi a sentire! Non dipende da me; tu lo sai che una piattata di fagioli io non la baratterei volentieri con un altro piatto, ma se mi dai da mangiare i fagioli viene una predica da fagioli, se mi dai da mangiare una bistecca, tu ascolterai una predica da bistecca! Non dipende da me: dipende da quello che mi dai da mangiare.

Il fatto mi fu raccontato proprio da lui e fu contento che gli manifestassi il mio consenso. Si sa,
gran predicatore, gran mangiatore. Quanto al vizio di scoperchiare le pentole, ho visto diversi predicatori di rango che lo fanno. Bisogna aggiungere che anche Don Aldo gli dette ragione. Infatti cambiò menù.

22 agosto 2010

Quasi una preghiera.

Vorrei che quanti incontrerò nella mia giornata potessero ringraziare Dio per esserci incontrati.

07 agosto 2010

Antonio Silberio Chiti

Ad un mese dalla pubblicazione del post in cui annunciavo l'improvvisa scomparsa di Silberio, molti si domandano (e mi domandano) chi era davvero questo personaggio che rispondeva a diversi nomi. Non so come lo chiamassero in Spagna, in Portogallo o a Cuba. A San Miniato era noto come Lo squalo. Il mago. Lo Zeffìri, Silberio; io so che nei suoi interventi sulla stampa preferiva firmarsi Antonio Silberio Chiti.
Sono intenzionato a parlare di Antonio Silberio Chiti e lo farò articolando il mio discorso in diversi paragrafi che aggiungerò progressivamente a questo post; chiedo al tempo stesso ai suoi amici, ai suoi conoscenti, ai suoi estimatori o no di intervenire in termini di apporto per poter definire, per quanto è possibile, una figura straordinaria (o forse soltanto stravagante) che, mai inosservato, abbiamo incontrato sulla nostra strada.

§ Silberio in definitiva era un Catalano prestato a San Miniato; poteva anche sembrare un gaucho che vive in terra toscana. Gaucho sta alle pampas argentine come il cowboy sta alle pianure del West. Ciò che li accomuna è la passione per i cavalli e la predilezione per i grandi spazi dove le mandrie vengono guidate e servogliate.
Spesse volte mi è venuta l'idea di identificarlo con Don Chisciotte. Nel capolavoro di Cervantes i critici individuano in questa figura l'attitudine, che è anche una propensione, dell'uomo che non si adatta a vivere ad una sola dimensione. E' l'eroe che inventa l'avventura in cui spesso trova la propria sconfitta. Chi conosce a fondo figure di questo genere smorza un'istintiva derisione e finisce per ammirare un personaggio proprio perché esce da un'ordinaria quotidianità.

[continua...]

§ Un attore ha tanti nomi quante sono le maschere appese nel suo camerino, ma unica è la faccia che le indossa. Per qualcuno era solo un irriducibile bracconiere; per altri era il mago che fondeva per i suoi visitatori talismani e amuleti in un piccolo stambugio di Via Gargozzi; per altri ancora era un medium, una persona capace di chiamare a colloquio persone scomparse e care al ricordo di quelle che sono rimaste: ed ora disponibile ad essere evocato a consolazione dei suoi adetti.
Tuttavia, a mio giudizio, non era un impostore. Egli credeva davvero di possedere poteri speciali che identificava ( e qui sbagliava di sicuro) con veri e propri carismi che sono doni dati all'individuo a servizio della comunità. La sua fine, secondo me, è legata proprio ad un eccesso di credenza.
Lui interpretava i chiari sintomi di un'angina pectoris, che lo ha torturato nell'ultimo periodo, come un effetto di influssi extra terreni. Forse una tempestiva diagnosi da parte di un cardiologo lo avrebbe salvato. Silberio fu l'ultima vittima della sua stessa convinzione.

§ Qui il discorso va diritto alla pantera. Silberio e la pantera. La pantera, si sa, non è altro che un leopardo col manto nero. Per chi è stato in Africa è la belva più pericolosa che si possa incontrare; quando è appostata su un ramo d'albero, si avventa sull'uomo perfino se non è molestata. Terribile e bellissima creatura. Silberio se l'ha inventò e finì per convincersi che un giorno, anzi, una notte l'avrebbe incontrata davvero, nera come la tenebra, e quegli occhi fosforescenti che forano il buio della notte. Fu capace di comunicare questa suggestione ad amici, che cercarono invano tracce ed orme di una animale così abile da rendersi invisibile; il fascino del'isola che non c'è! Forse anche lui fu sedotto dall'immagine di Fang, la pantera di Cino e Franco. Nelle striscie di un fumetto compariva questo superbo felino, custode vigile e compagno inseparabile di un ragazzo di nome Cino. Sicuramente l'immagine tratta da un album di avventura si era fissata nella sua memoria.
Silberio mi disse che una notte aveva incontrato la sua pantera; avrebbe potuto sparare mirando agli occhi. "Non lo feci; era troppo bella". Così mi disse.
E' successo, questo è successo, che, una pantera, lui l'ha incontrata davvero. E' stata lei ad affondare gli artigli nel suo petto, lei ha penetrato e squassato il suo cuore. Ed ancora una volta il cacciatore è diventato preda.



04 agosto 2010

Il pavone bucaniere

Ho dovuto scoprire chi era il losco personaggio che continua a depredarmi del raccolto delle mie piantine di pomodoro. E' il giovale pavone che ho avuto da Alex in cambio di qualche ballino di pellet. Ha fatto combriccola con le anatre e con i polli di Maria che lo governa molto volentieri ed ormai dice che è suo. Sul crepuscolo si parta sui rami alti di un pioppo dove pernotta, pur rimanendo vigile perché è lui che si sente padrone. La mattina scende e ripassa tutto il territorio che, secondo lui, gli appartiene. Ho notato che inarca il collo come per fare degli elegnanti inchini e cammina coi tacchi alti, ma non ho detto che sia un gay...
Nel suo percorso non trascura il mio orto, oltrepassando la siepe e la rete di ricenzione con grande disinvoltura. L'ho visto! Faceva un inchino... dava una beccata. Un inchino e un'altra beccata... Ho capito che se non li chiedo a Fabio, quest'anno, io, i pomodori grinzosi, non li mangio.
Questi pomodori hanno diversi lobi che giungono a maturazione in tempi diversi. Da verdi arrivano ad un rosso vivo passando per l'arancione. Lui ,quando sono verdi, non li guarda nemmeno. Li gradisce rossi o almeno arancioni.
Dato che distingue così bene il rosso dal verde, ho concluso che il pavone non è daltonico.

Quel famoso grinzoso di San Miniato

Il grinzoso di San Miniato è un pomodoro veramente speciale. Non ha una polpa consistente, ma il liquido che contiene nei suoi alveoli ha un sapore, credo, a base alcalina, gradevolmente caustico. che fa da condimento a tutto il resto; questa è la ragione che si mangia anche a salino. Nell'insalata si mette non completamente maturo. Maturo, è buono per fare la pappa. Nel brodo di carne, chi cucina lo mette intero e lo spreme da ultimo sul colino. E' fenomenale!
Il mio amico Fabio tre mesi fa mi fece dono di qualche piantina. Le ho piantate nell'orto e le ho anche incannate. I pomodori sono venuti fuori sul primo, sul secondo e sul terzo palco. Io non li ho neanche assaggiati!

03 agosto 2010

PREDESTINAZIONE


Chi è credente (ed io lo sono) spesse volte è dominato dalla paura del giudizio di Dio. In questo caso si interpella su quello che io chiamo il "Mistero della Predestinazione". Ecco qual'è l'ordito del pensiero che lo può inquietare: io sarò giudicato, giudicato da Dio; quale sarà la sentenza che toccherà anche a me? A volte suscita un oscuro terrore.
Ora voglio dire come io riesco ad uscire da quest'ansa che è anche un'ansia.
Mi conforta il consenso dei piccoli; quando un bambino, magari con un sorriso o con una parola di poche sillabe, mi fa capire che io per lui sono un buon pastore, io questo piccolo elogio lo prendo come un segnacolo divino. E' dalla bocca dei bambini che esce la verità; so' che la verità viene da Dio.
C'è un'altra cosa che può darci sicurezza, che Dio è dalla nostra parte. Una persona che ha bisogno e ti chiede aiuto non viene senza la spinta del tuo Signore: il povero è latore di un messaggio che viene da Dio; é Lui che te lo manda!! Allora anche tu potrai sperimentare un' insolita gioia. Questa letizia finisce per rimuovere ogni pensiero di paura. Se Dio ti ha scelto puoi considerarti davvero un predestinato!

02 agosto 2010

Aiuto ai poveri.

Il brano evangelico d'ieri ci diceva che è possibile arricchirsi davanti a Dio.
Ho spiegato come ci si può arricchire davanti a Dio. Accogliere e soccorrere il povero- Dare un aiuto
concreto all'indigente. E poi sostenere chi sta per cadere; sollevare chi è caduto. Versare sulle ferite del tuo prossimo il vino della medicazione e l'olio della consolazione.
A sera mi s'è presentata alla porta una povera donna. Mi ha parlato a lungo della sua situazione;
mi ha chiesto aiuto. In una grossa borsa avevo dei piccoli pacchi di viveri ( che i fedeli depongono
sulla cesta di Betlem che è in fondo alla chiesa ); mi ha fatto capire che aveva bisogno anche di denaro; nel mio portafoglio avevo due pezzi da venti euro; sempre con la mano destra ( perché la sinistra non sappia) le ho passato quello che in quel momento era la metà di ciò che possedevo.
Ripensando a quanto io stesso avevo detto nell'omelia, lo devo dire, mi sono sentito più ricco.

10 luglio 2010

Requiem per Silberio.

§ Lo "Squalo" si è inabissato. Si è inabissato per sempre lo "squalo". Dopo giorni, settimane, mesi passati in un coma senza risveglio all'ospedale di Castelfiorentino, il 5 Luglio 2010 si spento Silberio Chiti ( per gli amici e per i nemici lo squalo) e così ha finalmente incontrato l'arcano che in vita, a modo suo, ha cercato di penetrare e di contattare.
Sebbene la notizia della sua morte non si sia propagata ( fino al punto che i suoi stessi amici sono venuti a conoscenza dell'evento solo dopo le celebrazione delle esequie) si deve dire che Silberio
fu un personaggio che rimane inciso nel calco di quanti lo abbiano conosciuto. Conosciuto o misconosciuto. Anche giudicato con sentenze diverse, che tuttora richiedono una intelligente composizione.

04 luglio 2010

Senza sigillo.

Questo raccontino non attiene al sigillo sacramentale; infatti non fa riferimento né al peccato e tanto meno al peccatore, anche se il confessore, questo si può dire, era proprio il proposto di Santa Maria a Monte, il Canonico Lelio Mannari.
Una donnina si presenta al confessionale con questo caso: -Io, il venerdì, che è giorno di vigilia, per mio marito che va alla Piaggio non so cosa mettergli nella borsetta di paglia. Va a finire che ricorro alla solita braciolina, o alla solita frittata di zucchini; ma anche la stagione degli zucchini finisce.
- Tu non fai male. ma ora ascoltami bene: Piglia un bel pezzetto di baccalà e mettilo in teglia con l'olio nostro...un pomodorino maturo... uno spicchio d'aglio.... Tu vedrai che te lo mangia volentieri! O che te lo devo insegnare io?

Il fatto, della cui storicità posso rispondere, s'inquadra in quel periodo in cui il baccalà costava poco ed era considerato il pesce dei poveri. Ora don Lelio si sarebbe guardato da suggerire un cibo che è diventato di lusso.

Omaggio a don lelio Mannari - I fagiolini Marconi

- Come mai ci sono dei fagiolini che si chiamano Marconi? Me lo spighi perché?
- Se non lo capisci, te lo dico io. Ascolta: Ci hai fatto caso che ci sono dei fagiolini senza fili? Ora dimmi: Chi l'ha inventato il telefono senza fili?
- Guglielmo Marconi!
- Ti ci ho portato! Ci sei arrivato da te a capire perché si chiamano Marconi: E' perché sono senza fili!

21 giugno 2010

La prova di latino 2 - Attenzione alle desinenze!

La traduzione latina comporta delle difficoltà anche perché le parole fanno a meno dell’articolo e, talvolta, soprattutto nei casi obliqui, fanno a meno anche della preposizione. Rosae può significare: le rose ed anche alla rosa.
Una stessa desinenza può segnalare la presenza di un verbo, di un sostantivo e, naturalmente, di un aggettivo.
Prendiamo, ad esempio, la terminazione
–a
-a può indicare: Nominativo, Vocativo, Ablativo singolare della 1° declinazione (aggettivo della 1° classe) * Nominativo, Accusativo, Vocativo neutro plurale della 2°, 3° e 4° declinazione (aggettivo della 1° e 2° classe) * 2° persona singolare del Presente Imperativo della I coniugazione.
Vedi http://www.lucianomarrucci.info/latino.htm

La prova di latino

Voglio darti alcuni suggerimenti che ti possono aiutare ad affrontare la prova di latino.
  • Quando ti trovi davanti una versione da tradurre (potrebbe trattarsi anche di un brano di un testo greco o anche di una lingua moderna) devi applicare un criterio logico. Considera la traduzione di un brano greco o latino come una fortezza da espugnare. La devi attaccare dal punto più debole. Alcuni si incaponiscono nel cominciare una traduzione partendo dalla prima frase; accade che ci battano il capo inutilmente e perdano del tempo senza concludere.
  • Facciamo conto di trovarci di fronte alla soluzione di un cruciverba difficile, per cui procederai così: cerca di isolare alcune frasi che possono trovarsi nel corpo della versione od anche nella parte finale, e cerca di orientarti sul senso (cioè la direzione) che è presente nel testo.
  • A vocabolario chiuso, comincerai col leggere tre o quattro volte l’intero testo, cercando di isolare qualche segmento che possa darti una interpretativa.
  • Tieni presente che il testo proposto deve avere in sé un senso compiuto, sia che si tratti di un racconto storico di Tacito o di Tito Livio, sia che si tratti di una riflessione epica di Seneca o di Cicerone. Non puoi metterti a tradurre una cosa prima di averne già afferrato il senso.
  • A questo punto devi fare un ricorso intelligente al vocabolario: proprio la parola che ti risulta più difficile può essere quella che ti apre alla comprensione di un testo; ma devi fare attenzione ad annotare nella tua memoria i diversi significati che una stessa parola può avere.
  • Attenzione alle virgole! In una versione corretta, le virgole indicano un inciso, che può essere anche una proposizione incidentale. Nel ricercare, e questo è fondamentale, la frase principale devi fare riferimento al modo indicativo, dal momento che la frase subordinata è perlopiù espressa col modo congiuntivo. E’ fondamentale badare alla costruzione latina anche quando non corrisponde alla struttura della frase italiana, ma, ripeto, la stessa punteggiatura può aiutarti a ripartire i diversi segmenti del discorso.
  • Se ti viene fuori una traduzione strampalata e priva di senso logico, hai un segnale preciso che la traduzione non è valida. E allora si rende opportuna una verifica delle parole che hai consultato nel vocabolario.

20 giugno 2010

Memoria minuitur nisi eam exerceas

Memoriam minuitur nisi eam exerceas.
La frase, che è diventata anche una massima, recita così:
La memoria diminuisce se non la eserciti.
Io l'ho proposta all'amico Fisoni che due giorni fa ha iniziato un corso di memorizzazione nella foresteria di Moriolo; c'è tempo per ritornare a parlare di questa interessante iniziativa. Per suggerimento di Francesco per ora mi limitarò a contestualizzare la frase nel brano latino da cui à tratta. Fa parte dell'opera che ha per titolo De Senectute.
Parlando delle capacità e dei vantaggi della memoria, Cicerone riferisce che il grande condottiero ateniese Temistocle era in grado di ricordare tutti i nomi dei suoi concittadini. Osserva poi che non si è mai conosciuto un vecchio che abbia dimenticato il luogo dove ha nascosto il suo tesoro. [Impossibile cancellare dalla mente ciò che abbiamo messo al centro del nostro interesse!]
Cicerone passa poi a parlare di ciò che successe al grande drammaturgo Sofocle. I suoi stessi figli lo avevano chiamato in giudizio perché anche in tarda età continuava a scrivere trascurando gli interessi familiari. Secondo loro era decipiens (un deficiente) cui bisognava sottrarre il diritto di governare una casa. Sofocle si presentò in tribunale con il manoscritto dell'Edipo a Colono che aveva composto da poco. Chiese ai giudizi di poterlo declamare per intero a memoria. Quando ebbe finito fece una sola domanda:" Vi sembro davvero un deficiente?"
Venne fuori una sentenza univoca di assoluzione: non si potevano misconoscere le grandi capacità di questo grande drammaturgo. Sofocle si era riscattato per ciò che aveva scritto, ma doveva la sua libertà alla sua facoltà di poter ricordare quanto aveva scritto!

11 giugno 2010

Lelio Mannari

Il Canonico Lelio Mannari è stato per me un maestro di filologia. Esperto archivista,aveva raggiunto una conoscenza in radice della lingua toscana prima ancora che diventasse lingua italiana. Di una persona di grande cultura è stato detto: quando muore un uomo come lui, crolla un'intera biblioteca. Così si potrebbe dire del grande Mannari.
Comunque nel mio scaffale ho raccolto e conservato qualcosa di quello che ci ha trasmesso. Note di etimologia, curiosità linguistiche, espressioni popolari riportabili alla cartella "cultura e società".
Ed ecco una curiosa scheda che si incentra su una domand: Da cosa ci si accorge della maturità che hanno raggiunto i diversi frutti?
L'uva, dal colore.
Il popone dall'odore.
Il cocomero, dal suono.
La noce, dal peso.
La ciliegia, dal prezzo.
Per la ciliegia si fa un discorso a parte, perché fa presto ad imbacare. In quella che viene svenduta c'è "gigi" dentro. Ma chi è questo "gigi"? Tieni presente che il 21 giugno è la festa di San Luigi Gonzaga.
E a questa data che il baco si è insiedato dentro in buona parte di questi rossi rubini già contesi dai più furbi passerotti.
Secondo Mannari è meglio una cilegia beccata che una ciliegia bacata.

04 giugno 2010

Chiusura del Corso Teologico 2009-2010

Chiuso e concluso il corso teologico 2009-2010.Gli alunni del secondo e terzo corso, ci eravamo trovati d'accordo proprio così, avevano preparato nell'aula diversi vassoi di pasticcini e salatini; abbiamo brindato sobriamente con spume e coca-cola.
Era presente anche la professoressa Silvana Gado.
Dopo una foto di gruppo, ci siamo recati nella grande terrazza del Seminario.
Per me quel luogo e quella situazione è un evento che mi rimanda molto indietro nel tempo. Ormai una generazione di alunni, vorrei poter dire, di discepoli, è fissata nei pieghi della memoria.Si,almeno in me, hanno lasciato una traccia!Conservo altre foto scattate in questa terrazza che rivedo con commozione.A volte penso di poter guardare a quegli anni tracciando un bilancio positivo.
Il sabato precedente c'era stata la mia ultima lezione del corso ed ho parlato della percezione che si può avere sulla Trinità calandosi nella profondità del proprio essere: una percezione che si può provare anche nell'esperienza esteriore quando prendiamo contatto con la natura. Infatti in tutte le realtà scopriamo una misteriosa triplicità; una stessa realtà è contrassegnata da bellezza e da bontà; tutto ciò che ci circonda reca l'impronta dell'intelligenza e dell'amore.Il corso sulla Trinità l'ho tenuto avvalendomi della collaborazione di Daniele Gozzini, che nel periodo invernale mi ha sostituito in diverse lezioni.
In quella stessa mattina si erano presentate agli esami alcune ragazze: sono state brave e si sono dimostrate veramente preparate.
Daniele ed io siamo stati d'accordo nell'assegnare delle ottime note.Ritornando verso casa, ho detto a Daniele: "Lo vedi come è gratificante il risultato del nostro lavoro? A questo punto perde d'importanza il modesto compenso che riceviamo dalla scuola per la nostra prestazione. Noi dobbiamo ringraziare Dio per questo compito che non ci è stato assegnato senza la Sua ispirazione; veramente possiamo essere sicuri che, se ci spetta una ricompensa, questa ci verrà proprio da Lui."