25 marzo 2013

L'uovo pasquale


Ogni tanto mi tocca spiegare alla gente che significato abbia benedire le uova nella Domenica di Pasqua. E’ proprio il rituale che parla di ricordo della Risurrezione. Infatti l’uovo si presenta, né più né meno, come un sasso. Il pulcino che è dentro lo recide da sé con il becco ed esce fuori dopo aver fatto ribaltare la pietra del suo guscio. Mi pare molto bello che l’immagine della Risurrezione trovi un’umile rappresentazione in una faccenda che sembrava di stretto interesse delle massaie.
Ne scaturisce un commento piuttosto interessante: anche noi risorgeremo alla vita… almeno se non siamo barlacci.

14 marzo 2013

Richiami campestri

Si comincia con gli animali da cortile.
Pulcini: piri, piri!
Galletti e gallettini: chiccheri, chiccheri!
Galline: mime, mime! Oppure: cocche, cocche!
(qui il richiamo diventa più affettivo per la gratitudine che la massaia riserva alla galline che fanno l’uovo).
Anatre: qua, qua! Oppure: ane, ane!
Tacchini: uli, uli! (anche uci, uci!). E per scacciarli? E’ semplice: sciò, sciò!

Per gli animali ad altezza d’anca si trovano per lo più dei nomi propri che vanno nel diminutivo e nel vezzeggiativo. Le pecore vengono chiamate con parole riferite al loro manto (nerina, bianchina, toppina, stellina…) e comandate, quando sono in branco, mediante fischi brevi e ripetuti senza smorzatura finale.
Per chiamare la capra, se non ha un nome appropriato, si dice semplicemente: bezzera o bezzerina (la parola è denominazione secondaria di capra ed è usata qui in funzione vocativa).
E’ da notare che dalla nostre parti il maiale venne detto ciro. La voce di richiamo è: cì, cì! Quando si tratta di invitarlo a mettersi in giacca (vale a dire in posizione prona) si dice: gè, gè!
"Liì" e "lèh" valgono per la partenza e l’arresto del cavallo, mentre "iù" è l’incitamento per farlo correre. Il linguaggio comune era impiegato per i bovini addestrati al lavoro dei campi: Vai avanti! Via! Fermati! Poggia! Gira! ecc..

Quanto al gatto, sembra che l’animale abbia assimilato la filosofia di un modello culturale che lo ha imposto in un ruolo di ospite onorato.
I richiami ad esso riservati sono per lo più dolcissimi e connotano la posizione ravvicinata di cui usa e abusa: micio, micino, ciucio, mucia, ciucino, muci ecc..
Per chiamarlo si fanno schioccare le labbra in aspirazione proprio con il suono di un bacio dato a vuoto!

01 marzo 2013

I ragazzi dell'Acquasanta


Il ricordo della benedizione delle case è affidato agli annali di questo piccolo e quasi introvabile borgo campestre che ha nome Faggeto; ma, ancora di più, esso rimane fisso nella memoria di tutti i ragazzi che hanno indossato le piccole tuniche per accompagnare il prete in questo fantastico itinerario.
A distanza di anni rammentano questo evento come una esperienza che vorrebbero tornare a rivivere ancora.
Prima di partire si suona un doppietto… scempio, come per annunciare: “Non è proprio festa perché siamo ancora dentro la Quaresima; ma se non è proprio festa, siamo lì. Preparate tutto perché si arriva noi!”
Prima di partire per la spedizione si dice una preghiera, ci si accerta che non manchi nulla: il canestro con la paglia in fondo per salvare le uova, i foglietti da lasciare alle famiglie, il secchiello…
“E il pennello?”. “Si dice aspersorio, chiorbone!”
Nella cinquecento c’entriamo in cinque; quando ci vedono sbarcare davanti all’uscio, rimangono meravigliati di quanta roba può contenere quest’uovo: anche questo fa parte della sorpresa.
In genere in ragazzi non sono abituati a far complimenti quando vedono un vassoio di frù frù o altra roba da mettere sotto i denti.
Trovo che quelli di prima schiccheravano di più e allora dovevo badarli perché non ritornassero a casa un po’ brilli; ora preferiscono spume e roba di lattine e si divertono a farmi scomparire quando mi offrono un bicchierino: “Ha già bevuto abbastanza… Gli farebbe male… Lui deve guidare…”
Lo dicono con convincenti sguardi d’intesa a chiunque apra una bottiglia; poi, in macchina, si sganasciano dalle risa, quei mascalzoni.
Per il resto si comportano bene; sembrano “sanluigini” quando rispondono alle formule delle benedizione; tengono sempre aggiornato il numero delle uova: “Ancora sei e siamo a dieci dozzine!”. A loro piace andare a far ova, almeno così dicono.
Crinali di Collina… Notiamo i primi comizi di fiori; il volo del merlo… le grandi conchiglie fossili. E questa è la casa di un vecchio solitario che parlava solo in poesia. Nelle case osservano persone, animali e cose: le riflessioni vengono fuori quando siamo in macchina. Io racconto delle cortissime storie: “Volete una vera storia inventata o che v’inventi una storia vera?”.
Si arriva all’ultima tappa. E’ fissato che lì si fa una merenda che, quasi quasi, è una cena: pane, rigatino, salame e altre cosette appetitose. Il fiasco è nel mezzo. Noi siamo serviti e riveriti. Questo vino ci rende ancora più allegri. Ora non si bevono più sciabordoni, gasati. “Forza ragazzi: alzate i bicchieri anche voi, tanto guido io!”