28 aprile 2007

Il silenzio e la parola

Due sono le lingue che si conservano ancora incorrotte nella Chiesa cattolica: una perché appartenne ad un uomo che seppe parlare; l’altra perché appartenne ad un uomo che seppe tacere. Il primo fu Sant’Antonio da Padova, predicatore esimio, la cui parola incantò le folle e fu mirabile strumento di conversione; l’altro fu San Giovanni Nepomuceno, confessore di una regina, che rispose con il silenzio alla pretesa del monarca di entrare a conoscenza di un segreto riguardante la propria consorte e subì il martirio per non aver rotto il sigillo della confessione. A tempo e luogo s’impone il dovere di parlare; a tempo e luogo quello di tacere. Entrambi, secondo le circostanze, comportano sacrificio e perfino eroismo. Sta qui la saggezza e direi, la sapienza, di un individuo: saper discernere quando occorre dire la verità e quando tacerla. A tacere, si dice, non si sbaglia mai in conformità a quanto si legge nel libro dei Proverbi (anche lo stolto, quando tace, risulta saggio); ma a volte il difficile compito della testimonianza si propone come l’unica via ad una coerenza di fatto (se tacessero loro, parlerebbero le pietre). Il buon senso popolare cerca un punto di equilibrio tra due opposti atteggiamenti quando dice che la parola è argento, ma il silenzio è d’oro. In certi casi accade che la parola deve rifulgere di più e allora la parola non è più d’argento: è di platino.

Fissare il sole

San Tommaso d’Aquino scrisse che di fronte alle inson-dabili profondità del mistero divino noi siamo come dei pipistrelli: la troppa luce ci acceca. Infatti non ci è dato di vedere una realtà o perché c’è troppo buio, o perché c’è troppa luce; proprio per questo i teologi asseriscono che nella visione beatifica l’anima viene fornita di una capacità che chiamano “lumen gloriae”. E’ come dire che qui in terra non si può fissare il sole perché troppo sfolgorante. Tuttavia si conoscono due esseri che sembrano possedere questa facoltà di fissare a lungo il sole fino a sostenerne la luce, almeno per un certo tempo. Uno è l’aquila, che vola sulle quote più alte: sopra le nubi tra il fulgore di scintillanti ghiacciai le iridi dei suoi occhi diventano nere come eclissi e attraverso spiracoli filiformi delle sue pupille può guardare davvero l’astro maggiore. Ma c’è anche l’umile, modesta lucertolina, che ferma come un monile sui muriccioli, sembra avere la stessa capacità. Fateci caso: è capace di stare a contemplare il sole anche nelle ore meridiane. Applico così: nella condizione terrena due sono le possibilità per sostenere una luce superiore: l’acume dei santi dottori, l’umiltà dei semplici, dei piccoli; gli uni e gli altri sembrano dividersi questo indivisibile privilegio di contemplare Dio, anche qui in terra.

Elogio della brevità

- So che le otto beatitudini (un intero codice di vita) occupano appena tre moduli di giornale e che l’Infinito di Leopardi non richiede uno spazio maggiore.

- Per quanto riguarda l’esposizione scientifica lascia che ti riporti un episodio che ha il sapore di un aneddoto, ma è pura verità. Un giornalista chiese ad Albert Einstein se era capace di spiegare in cinque minuti la teoria della relatività. Lui rispose: “No, perché cinque minuti sono troppi!”. Ci fu una pausa di silenzio remissivo; il giornalista aveva pensato di avere fatto una richiesta esagerata. Einstein riprese il discorso: “Sta così: prima si consideravano la cosa, il tempo e lo spazio come tre realtà distinte: tolta la cosa, rimaneva lo spazio e il tempo. Ora la cosa, il tempo e lo spazio sono un’unica realtà: se togli la cosa vengono meno anche lo spazio e il tempo. E’ tutto qui! Sì, cinque minuti erano veramente troppi!”

GOSSIP o Le penne di gallina

Un giorno, una chiacchierona nota in tutta Roma, andò a confessarsi da San Filippo Neri.
Il confessore ascoltò attentamente e poi le assegnò questa penitenza: “Dopo aver spennato una gallina dovrai andare per le strade di Roma e spargerai un po’ dappertutto le penne e le piume della gallina! Dopo torna da me!”.
La donna, un pò a malincuore, eseguì questa strana penitenza e andò a riferirlo a Filippo Neri. Lui le disse: “La penitenza non è finita! Ora devi andare per tutta Roma a raccogliere le penne e le piume che hai sparso!”. “Tu mi chiedi una cosa impossibile!”, disse la donna. E il confessore le rispose così: “Anche le chiacchiere che hai sparso per tutta Roma non si possono più raccogliere! Sono come le piume e le penne di questa gallina che hai sparso dappertutto! Non c’è rimedio per il danno che hai fatto con le tue chiacchiere!”.

Rem tene verba sequentur

Tieni presente l’argomento e le parole seguiranno da sé.

E’ un suggerimento di Cicerone; basta tenere presente il concetto e le parole scaturiscano spontaneamente. Se uno intende ricordare tutte le parole del discorso che vuole condurre, finirà per incepparsi, mentre se tiene presente l'argomento la difficoltà viene agevolmente superata.
A questo è collegato un altro consiglio: se nel parlare ti viene meno la memoria di ciò che devi dire dopo, limitati a ripetere con altre parole quello che hai già detto (quello non l’hai certamente dimenticato!); scoprirai che nel frattempo ti ritornerà alla mente il concetto successivo.

Parlare a braccio

Probabilmente si dice così perché, in un discorso più o meno preparato, non ci si avvale di un testo scritto. In questo caso è il gesto che, anticipando la parola, sembra proprio cercarla. Un buon comunicatore è quello che sa usare le parole appropriate accompagnandole con il gesto. Il gesto non sarà così sviluppato e ampio come lo suggeriscono i dettami dell’antica oratoria; infatti la presenza di un microfono e la stessa postazione che il relatore è chiamato ad occupare, riducono una performance gestuale. C’è ancora una cosa da tener presente: che lo sguardo fa parte della comunicazione secondo un criterio che i veri comunicatori applicano anche senza averlo appreso da qualcun altro: ordinariamente lo sguardo precede il gesto, il gesto la parola. Tutto ciò fa riportare l’arte di comunicare ad una specie di rito dove lo sguardo, il gesto e la parola confluiscono in un’unica realtà.

Suggerimento a chi deve parlare a lungo

Arrivare nella sala della discussione qualche minuto prima, è come giungere nel campo di battaglia prima dell’avversario. Verificare la funzionalità dei microfoni e individuare la propria sede. Il fiatone di chi deve prendere posizione all’ultimo momento può giocare brutti scherzi. Dicono che bisogna tirare un lungo respiro, ma non basta: è necessario attivare una respirazione regolare; ciò rallenta anche il battito cardiaco e non è poco. E’ anche molto importante fare ricorso, anche a varie riprese, al bicchiere dell’acqua minerale. Ciò serve molto ad allontanare l’ansietà del momento.
Quindi: O (come ossigeno) e H2O (come acqua).
Quando parli cerca di incrociare gli sguardi di coloro che ti ascoltano. Potrai così sperimentare che alcuni ascoltatori, nell’esprimere interesse al tuo discorso, ti aiuteranno a svilupparlo meglio. In qualche modo, proprio loro, possono attivare il flusso delle tue parole.

Attenzione alle parole

Per giustificare una certa situazione uno dice: “L’incontro con quella persona fu soltanto causale”. Bravo! In questa maniera dichiari che il tuo incontro con quella persona fu veramente determinato e voluto. Dovevi dire: “Il nostro incontro fu soltanto casuale”. C’è differenza tra la causa e il caso!

L'arte del dire

Si conoscono due massime complementari: “verba volant, scripta manent”.
Ne risulta una sentenza che sembra evidenziare il rilievo maggiore di ciò che si scrive su ciò che si dice; come dire: lo scritto rimane, le parole invece si dissolvono nel nulla.
Ma a ben riflettere viene sottolineata la prevalenza che spesso la parola orale può vantare rispetto alla parola scritta; la parola scritta rimane lì, la parola pronunciata ha una forza dinamica che la fa volare e raggiungere meglio il termine a cui si riferisce. Riflettiamo: Gesù Cristo non disse: “Rimanete e mettetevi a scrivere!”, ma precisamente: “Andate ed annunziate!”. C’è differenza tra mandarlo a dire e dirlo di persona. La storia e anche la cronaca confermano che certi mutamenti importanti sono avvenuti in seguito a degli incontri e non a delle missive.