29 ottobre 2013

Napoleone a San Miniato - Prima parte

Anatole France (1844 - 1924)
Autore: Anatole France
Traduzione di Luciano Marrucci da “Le puits de Sainte Claire”, 1895, edizione resa disponibile dalla Biblioteca Nazionale Francese.









Napoleone, dopo la sua spedizione a Livorno, si portò a Firenze, dormì a San-Miniato
presso un vecchio prete dei Buonaparte...
(memoriale di Sant'Elena lasciato dal Conte de Lascases, ristampa del 1822-1824. Pag. 149)
“Fui verso sera a San Miniato. Lì ci avevo un vecchio canonico mio parente...”
(mémoires du docteur F. Antonmarchi, sur les derniers moments de Napoléon, 1825. Pag. 135)

Dopo aver occupato Livorno e chiuso il porto alla flotta inglese, il generale Buonaparte andò a trovare a Firenze il granduca di Toscana Ferdinando, il solo fra tutti i principi d'Europa, che aveva tenuto fede ai suoi impegni verso la Repubblica.
In testimonianza di stima e di confidenza, egli vi andò senza scorta con il suo Stato-Maggiore. Gli furono mostrate le insegne dei Buonaparte scolpite sulla porta di un vecchio palazzo. Egli sapeva che un ramo della sua famiglia un tempo si era esteso a Firenze e che ne restava ancora un ultimo rampollo. C'era a San Miniato un canonico di ottant'anni. Nonostante gli impegni di cui era gravato gli premeva di andarlo a visitare. I sentimenti naturali erano molto forti in Napoleone Buonaparte. Nella vigilia della sua partenza, alla sera, egli si recò con alcuni dei suoi ufficiali a San Miniato, di cui la collina, coronata di muraglie e di torri si eleva ad una mezza lega a sud di Firenze.
Il vecchio canonico Buonaparte accolse con nobile amenità il suo giovane nipote e i francesi con cui era accompagnato. C'erano Berthier, Junot, il Commissario in capo Chauvet e il luogotenente Thézard. Offrì loro un pranzo all'italiana nel quale non mancarono né le gru di Peretola, né il maialino di latte profumato di aromi, né i migliori vini della Toscana, di Napoli e della Sicilia. Lui stesso brindò alle loro armi Repubblicane come Bruto, essi brindarono alla patria ed alla libertà. L'ospite si accordò con loro. Poi volgendosi verso il generale che era piazzato alla sua destra:
– Mio nipote, gli disse, non siete curioso di riguardare l'albero genealogico dipinto sul muro di questa sala? Vedreste senza dispiacere che noi discendiamo dai Cadolingi lombardi che dal secolo X al secolo XII si onorarono per la loro fedeltà agli imperatori alemanni. Da essi discesero i Buonaparte di Treviso e i Buonaparte di Firenze. Quest'ultimi sono molto più illustri.

Gli ufficiali cominciarono a borbottare e a ridere. Chauvet, parlando sottovoce con Junot, non era affatto sicuro che Napoleone gradisse di avere nella storia della sua famiglia dei servi dell'Aquila Bicipite. E il luogotenente Thézard era pronto a giurare che il generale doveva la sua luce a dei buoni sanculotti. Intanto, il canonico Buonaparte vantava con insistenza l'eccellenza della sua casa.
– Caro nipote, continuò il vegliardo, i nostri antenati di Firenze meritavano davvero il loro nome. Essi furono del “bon partito” e difesero sempre la Chiesa.
A queste parole che il buon uomo aveva pronunciato con una voce alta e chiara, il generale fino a quel momento distratto e ascoltando appena, alzò la testa pallida e magra tagliata sull'antico. E col suo sguardo scintillante bloccò la parola sulle labbra del vegliardo.
– Caro zio, gli disse, lasciamo queste noioserie e non sottraiamo ai topi della vostra soffitta delle pergamene ammuffite.
Aggiunse con voce metallica:
La mia sola nobiltà sta nelle mie azioni. Essa data dal tredici mese vendemmiale dell'anno IV quando fulminai sui gradini di San Rocco le guarnigioni realiste. Beviamo alla Repubblica! E' la freccia d'Evandro che non ricade a terra e diventa una stella. Gli ufficiali risposero con una entusiastica acclamazione.
Lo stesso Berthier si sentì in quel momento repubblicano e patriota. Junot era sicuro che Napoleone non avesse bisogno di antenati e gli basta sapere di essere stato fatto caporale dai suoi soldati a Lodi. Si bevve del vino che aveva il gusto secco della pietra focaia e l'odore della polvere. Ne bevvero abbondantemente. Il
luogotenente Thèzard era ormai fuori dall'idea di nascondere il suo pensiero. Fiero delle ferite e dei baci di cui era stato coperto durante questa eroica e gioiosa campagna, annunciò senza giri di parole al buon canonico che, sotto la guida di Buonaparte i francesi faranno il giro del mondo, rovesceranno dappertutto troni e altari, facendo fare dei figli alle fanciulle e trafiggendo i fanatici.
Il vecchio prete, sempre sorridendo, rispose che lui abbandonava volentieri alla loro bella furia, non certo le giovani fanciulle che raccomandava di trattare con riguardo, ma quei fanatici grandi nemici della Santa Chiesa. Junot gli assicurò di trattare favorevolmente le religiose che aveva avuto a suo servizio, trovando in loro un cuore tenero e una pelle chiara. […] Non ci sono, disse Berthier, in Italia delle femmine di buona società a cui possiate offrire i vostri servizi nelle feste sotto i mantelli veneziani, così favorevoli agli intrighi? Non è vero che Pietra Grua Mariani, madame Lamberte, madame Monti, madame Gherardi da Brescia sono belle e galanti?
Nel momento in cui nominava queste dame italiane, il suo pensiero andava alla principessa Visconti che, non avendo potuto sedurre Buonaparte, si era concessa al suo capo di stato maggiore e l'amava con molle fuochezza, con una studiata sensualità di cui il debole Berthier restava turbato a vita.
– Ed io, disse il luogotenente Thézard, non dimenticherò mai una piccola venditrice di cocomeri che sui gradini del Duomo...
Il generale, impazientito, si alzò. Restavano appena tre ore prima della partenza. Dovevano partire al primo mattino del giorno dopo.
– Caro parente, non vi preoccupate per il nostro dormire, disse al canonico. Noi siamo dei soldati. Ci basta un fastello di paglia!
Ma il generoso ospite aveva fatto sistemare dei letti. La sua casa nuda e senza ornamenti, era vasta. Egli condusse i francesi ognuno nella sua stanza che era loro destinata e dette loro una buonanotte.

continua...

10 ottobre 2013

Addio Macallè

Negli ultimi e oscuri annali di Faggeto, dove non succede niente di niente che possa interessare l’opinione pubblica sempre assetata di notizie importanti, c’è posto per la storia di due capre che rispondevano (oh, come rispondevano!) ai nomi di Macallè e Zucchina.
Ora sì che so come sono le capre! Dispettose e ciccione, affezionate e giocherellone, furbe ed intraprendenti, contemplatrici appassionate del firmamento per quell’attitudine nomade che rende sempre disponibili a seguire l’uomo in un lungo cammino.
Con loro ho incominciato subito la lunga guerra dei recinti. Ma ho dovuto dichiarare la resa. Hanno sfondato le reti deboli; quelle robuste , le hanno scavalcate, hanno rotto steccati e saltato cancelli.
Dopo aver fatto dei guai negli orti dei vicini, mi si accostavano per assicurarsi che quello che era successo era successo, ma che loro mi volevano bene lo stesso… Mi è capitato più volte che mentre sedevo sugli scalini della loggia e pensavo con una certa amarezza ai miei insuccessi pastorali (delle anime, intendo) Macallè veniva a morsicarmi i capelli (questo fanno questi animali) come per dirmi: “Non ci pensare! Ci siamo noi a starti vicine”. Sono convinto che la Bontà di Dio ci può raggiungere anche così: attraverso il complimento di un animale.
Bisognerà registrare in questi animali che una volta, mentre stavo spiegando il Vangelo del Buon Pastore, si è sentito picchiare alla bussola della Chiesa e tutti hanno capito che erano loro; mi sono quasi commosso e ho detto: “Avete sentito? E’ proprio vero che questi animali riconoscono ‘la voce del pastore’!”.
La storia arrivò ad una svolta importante quando Macallè partorì tre capretti e fu imitata alla distanza di ventiquattrore da Zucchina che ne mise alla luce altri due. Nasceva un problema: tre più due, cinque e due che portavo: sette! Troppa grazia Sant’Antonio! All’improvviso mi ritrovavo con una piccola mandria di capre. Chi me le bada? Mandare al macello quei graziosissimi capretti, non me la sentivo.
Passa del tempo e si fa avanti un agricoltore di Vinci, il padre di Daniele, un bambino che tanto insisteva per avere, nel suo recinto, la presenza della capra e dei suoi tre caprettini.
Macallè è una magnifica capra che quando si rizzava sulle zampe era più alta di me, giocava con me fingendo di caricarmi, mi seguiva nelle mie passeggiate notturne… Ma bisognava dargliela. Pensavo ai lamenti di quelli che piantavano l’insalata, il radicchio e altro. Qui si trattava di salvare capra e cavoli. E cedetti.
Venne il momento di caricarla sul furgone e ci dovevo essere io per forza, sennò non saliva. Vidi nei suoi occhi una luce di sgomento e di terrore; pareva che dicesse “Se mi tradisci anche tu, allora di chi mi posso fidare da ora in avanti?”.
Addio Macallè! Sono sicuro che ti troverai molto bene con Daniele, dato che ami tanto i bambini. Tu lasci Faggeto per andare a Vinci: così vai dentro quel paesaggio che fu tanto caro a Leonardo, che pensò ad animali come te quando cercò personaggi per il paesaggio di un presepe che non cessò mai di dipingere.

07 ottobre 2013

Gli annali di Faggeto

Per non essere da meno degli altri parroci, il parroco di Faggeto aveva costruito, ai tempi di Pio XII, una sala parrocchiale. Questa si ergeva accanto alla Chiesa in contrapposizione al circolino che sorge a mezzo poggio sul cui colore politico io non mi esprimo… ma era il colore che possono avere i papaveri nostrani in pieno giugno. Via i barattoli delle caramelle, la caffettiera e due dozzine di bicchieri, la saletta senza condoni e perdoni fiscali, è diventata l’abitazione di una famiglia del salernitano che è venuta a starci prima ancora che da quelle parti ci picchiasse il terremoto . E così siamo senza.
In compenso, dall’altra parte della canonica, c’è rimasta una bella capanna. Ora abbiamo una stalla parrocchiale! Non mi risulta che gli ultimi pontefici abbiano fatto cenno ad una cosa del genere. Non era prevista. Ma qui siamo rimasti al tempo delle antiche abbazie e in qualche modo, se noti abbiamo precorso come tanti altri il Concilio Vaticano II, facciamo di tutto per percorrere quello che deve ancora venire. Ci sarà un nuovo Concilio, no?

Parrocchie esemplari

In questa stalla hanno dimora le mie capre parrocchiali. E’ qui che tengo le riunioni più riuscite… Prima che gli annali di Faggeto abbiano conclusione e tutte le carte, legate debitamente con nastro di canapa, vadano a finire nell’archivio di Lucca, bisognerà scrivere dell’alto senso di parrocchialità che esse hanno dimostrato durante questi anni in questo borgo, ricordato dalla storia ma dimenticato dalla cronaca.
Le capre mi salutano quando arrivo e quando parto. Hanno rispetto. Loro non si fermano, come altre parrocchiane all’uscita della Messa per mormorare sul prete… Hanno la loro religiosità. A loro modo, s’intende. Io le ho viste inchinarsi e poggiare la testa verso il portone come volessero entrare. E quando suona la campana, come tendono le orecchie e i loro occhi si fanno riflessivi!
In quel momento, per me, è come se pregassero.
Quanto ai capretti, attirano i bambini più di me. Con una parola difficile, si direbbe che posseggano il carisma di garbare ai ragazzi… Scherzano, saltano e fanno le capriole come loro; ecco perché. Ed io, da un pezzo ormai, le capriole non le faccio più…
D’accordo, sono caparbie, dispettose e fanno diversi danni… ma chi è senza difetto tiri la prima sassata.

Conversazione con le capre

L’ultima adunanza vicariale mi aveva amareggiato un po’ per via delle nuove norme che prevedono la soppressione di fatto delle piccole parrocchie. Allora toccherebbe anche a Faggeto. Una cosa che riguarda anche loro. Come mi sono seduto mi sono venute tutte intorno per farmi sentire l’umido tepore del loro fiato. Mi è proprio sembrato che volessero ascoltarmi. “Dunque questa cosa riguarda anche voi. Pare che da Roma hanno mandato a dire che da ora in avanti le parrocchie piccine come Faggeto non hanno più ragione di esistere. Dicono che le parrocchie con meno di cinquecento anime devono andare a sparire. E tu, Inochi, è inutile che tu rizzi gli orecchi… Ho detto anime, non animali! E voi avete tutto, ma l’anima no: su questo non ci piove.
Una parrocchia dovrebbe essere così consistente da avere un consiglio pastorale. Che cosa è un consiglio pastorale? Ma è semplice: lo dice la parola Consiglio. Vuol dire che la gente si riunisce per consigliare. “Sor proposto, faccia questo!”, “Sor proposto faccia così o cosà”. Consigli tanti ma aiuti pochi… Poi ci vorrebbe anche un consiglio economico. E anche qui voi non ci potete entrare di sicuro: non sapete nemmeno quanto costa l’orzo e l’avena… Passa in quel momento il mio fittavolo. “Prete”, mi fa “parli da te solo?”, “Non parlo da me solo, parlo con le capre!”.

Riprendendo il discorso

“E non la sapete tutta! Ci vogliono levare anche la terra. Pigliano tutto loro, a te ti danno un tanto, punto e basta. Quanto hanno fatto gli antichi per fondare una comunità qui a Faggeto, ed ora da un momento all’altro, via tutto. Qui finisce una storia, ma cosa incomincia? Ci capite nulla voi? Neanche io!
Se ci levano la terra, dove vi porto la sera quando mi seguite nelle mie passeggiate notturne? Qui vorrebbero che si smonticasse… ma per Santa Filumena, protettrice di Faggeto, se mi chiedono di firmare qualcosa, io non firmo. Però quando scrivono da Roma, ve lo dico io, suona a morto”.
A questo punto un capretto mi ha messo la zampa sulla spalla e ha mandato verso il mio orecchio un murmure sonoro e aspirato. Un po’ in italiano, un po’ in arabo, mi ha detto: “Non firmare! Non firmare!”.
Nel silenzio, la piccola mandria stava raccolta con gli sguardi rivolti in terra; poi Zucchina, l’anziana del gruppo, ha roteato la testa in alto un paio di volte ed è tornata a fissarmi dolcissimamente come per dire: “Qualche Santo ci aiuterà!”.

continua...

04 ottobre 2013

I capretti di Faggeto

Da diverso tempo la gente, interessata alle vicende di Faggeto, continuava a domandarsi se c’era qualche novità da queste parti e mi chiedeva di tenerla al corrente sulla faccenda della capre.
La novità c’è, e riguarda proprio le capre. Ne parlo anche perché ad una domanda che si poneva così: “Volete che vi parli di Loreto o di Faggeto?” hanno risposto: “Per carità, basta con Loreto! Parlaci di Faggeto!”.
Io non avrei mai immaginato che gli oscuri ed umili annali di questo vecchio borgo, noto, al più, ai vescovi pellegrini che verso il mille, passando da queste parti, si fermavano qui per alloggiare una o due notti in un monastero (che ora non esiste nemmeno) interessassero più di importantissimi convegni dove la Chiesa riscopre un nuovo volto.

Cinque capretti

Dunque, notizie fresche: la capre hanno figliato! Venerdì 14 febbraio, festa di San Valentino, Zucchina, la madre, e Inochi, la figlia, hanno dato alla luce (era appunto una fredda ma luminosa giornata di Febbraio) cinque capretti. Zucchina, tre; Inochi, due. Una memorabile giornata per Zucchina, non tanto perché ha battuto la figlia per tre a due, quanto perché in uno stesso giorno è diventata madre e nonna! Dei capretti è inutile parlarne; bisogna vederli. Una poesia in cinque strofe.

Preoccupazioni pastorali

L’ultimo nato di Zucchina si presentava già minutino e sembrava aver iniziato un non richiesto digiuno quaresimale. Mentre gli altri due avevano chiaramente dimostrato un gagliardo appetito e si erano spartiti concordemente le due uniche mammelle della madre, lui assumeva un atteggiamento metafisicamente assorto, disinteressato al latte, come se avesse stabilito di campare d’aria.
Passa un giorno così; allora è meglio telefonare al veterinario di Castelfranco.
- Sor Dottore, un capretto non ne vuol sapere di mangiare!
- Questo a volte succede perché gli intestini del capretto sono pieni di cibo materno, già quando vengono alla luce. A volte, magari quando fa freddo, la roba che ha dentro gli rimane indigesta e allora rifiuta il latte.
- Non sapevo che nascessero con l’indigestione! Ma, allora, sor dottore, c’è rimedio?
- Ascolti: lei faccia così: gli fa ingoiare un po’ di magnesia ‘Sanpellegrino’; è per rinfrescarlo. Poi gli deve dare un pochino di caffè, senza zucchero, ma che sia buono!
- Il caffè? O questa?
- E’ per tenerlo vispo e vivace! Bisogna che sia sveglio il capretto e si muova… Ha capito? Caffè bono e senza zucchero!

Una buona reclame

Vo in farmacia e mi danno una scatolina con l’immagine di un pellegrino. Apro a forza la bocca del cucciolo e per amore gli faccio ingoiare la purghetta. Poi metto al fuoco la moka. Arrivato alla stalla con la tazzina, succede una cosa che non avrei mai immaginato: Zucchina, che si era avvicinata con finta indifferenza alla tazza, o non si beve tutto il caffè e si mette a leccare anche il fondo?!?
Riporto ancora del caffè tiepidino… Il caprettino lo butta giù.
Passano poche ore e il capretto non si riconosce più, scatta agile verso il seno della madre e si fa strada tra i fratelli che ora si accorgono per la prima volta di essere in tre. Ho capito quello che è successo: “E più lo butto giù e più mi tira su”.
Non per fare reclame, ma per puro amore della verità; devo dire che il caffè usato era Lavazza “marca oro”!

Un argomento in più

Ora in questa capanna nobilitata dalla cucciolata di animali è come entrare nel mondo di Quark. E’ uno spettacolo gratuito, istruttivo e soprattutto divertente; ormai conoscono l’uomo, ci familiarizzano senza perdere la loro silvana spontaneità.
Uno di quei giorni è venuto a trovarmi un amico che qualche tempo fa si professava non credente. L’ho invitato ad entrare nella stalla. “Voglio mostrarti una prova dell’esistenza di Dio”. E’ entrato. Gli animali non erano ancora usciti dal recinto. Un capretto stava addirittura in ginocchio per succhiare il latte della madre; lo sguardo della capra pacato e assorto che hanno tutte le madri che allattano. Gli altri quattro caracollavano in un carosello continuo attorno all’altra femmina che sembrava dirigere il gioco. Quattro cuccioli che saltellavano con biblica esultanza. Una sarabanda! “Questa è una prova dell’esistenza di Dio!”. Il mio ospite non ha detto niente, ma gli è sfuggito un sorriso d’assenso, come dicesse: “Eppure tu hai ragione!”.

02 ottobre 2013

Presepe con le capre

“Presso i tuoi altari, Signore…”

Queste due capre non vivono sempre in recinto. Anche se, scorrazzano qua e là, combinano un mucchio di guai, bisogna aprire il cancello, perché non ha senso pigliare gli animali e non chiamarli a quella libertà che noi stessi pretendiamo per noi.
Hanno fatto amicizia con i ragazzi: si potrebbe dire che fanno parte del gruppo, ormai. E’ accaduto più volte che nell’ora del catechismo sono riuscite ad aprire la porta della bussola. Vogliono sentire, vogliono guardare. Io dico ad un ragazzo di chiudere la porta, ma senza impaurirle: “Nella mia Cura non ho due parrocchiane devote ed assidue come queste!”. Ciò che sorprende è che hanno scelto un posto dal quale è difficile staccarle: è l’atrio coperto che induce alla cappella laterale. A fianco della porta, o sotto il presepe fatto di embrici. A loro modo montano la guardia a Gesù.
Per forza ho pensato alle parole del salmo: “Anche il passero trova la casa, la rondine il nido dove porre i suoi piccoli, presso i tuoi altari, Signore”.

Il presepe è una stalla?

Distaccarle di lì proprio la sera di Natale? Questo per me era il problema. Lo esposi ai ragazzi; tutti in maniera decisa e imperativa dissero che in quella notte Zucchina e Macallè dovevano essere lasciate dove volevano stare. “E pensare, aggiunsi io, che San Francesco aveva avuto il coraggio di portare addirittura dentro la Chiesa di Greccio un bue ed un asino: aveva il coraggio di fare un presepe che non era mai stato fatto prima di allora; e d’altra parte un presepe così non è mai stato fatto neppure dopo di allora”.
Che abbiamo fatto noi? Abbiamo sparso della paglia nell’atrio, sistemato una grossa cesta di salcio riempita di fieno. In quella Notte Santa, Macallè in piedi, ferma come un personaggio di gesso, Zucchina, graziosamente prona presso la cesta, non si sono mosse di lì. La gente, attirata dal lucore abbagliante della paglia illuminata da un faretto, prima di entrare in chiesa saliva tre o quattro gradini per portarsi sotto gli archetti dell’atrio. C’era chi si avvicinava alla cesta come per vedere se, caso mai, ci fosse qualcuno.