29 ottobre 2014

Quantificazione del predicato

Un problema che ha affaticato le menti di molti studiosi trova invece una semplice soluzione in una formulazione della logica scolastica che si esprime così “quantitas subiecti e signo; quantitas praedicati e qualitate (propositionis)”.
Il senso di questa norma è il seguente: la quantità del soggetto è evidenziata dal segno con cui è accompagnato il soggetto. Ed ecco il segno: il, un, qualche, ognuno, nessuno, tutti ecc... Se dico un uomo intendo un soggetto particolare, se dico “l'uomo” intendo un soggetto universale. Qualche, qualcuno è un segno di particolarità; ognuno, nessuno, tutti, sono segni di universalità. Questo vale per individuare la quantità del soggetto, quando invece si tratta di individuare la quantità del predicato, allora bisogna riferirsi alla qualità della proposizione. Se la proposizione è in forma negativa, allora il predicato deve essere inteso come universale; se invece la proposizione è in forma affermativa, allora il predicato deve essere inteso come particolare.
E' lo stesso Aristotele a chiarire che la qualità della proposizione determina la quantificazione del predicato.
Facciamo alcuni esempi:

  • Tutti i toscani sono italiani: il soggetto è evidentemente universale in quanto è contrassegnato dal segno tutti; il predicato ha invece una valenza particolare, in quanto la proposizione è in forma positiva.
  • Nessun uomo vola: ecco una proposizione in cui il soggetto (nessun uomo) è universale ed il predicato (vola) è universale, in quanto la frase è espressa in forma negativa.
  • Qualche italiano non è toscano: in questa proposizione il soggetto è particolare per il segno qualche, mentre il predicato è universale per il fatto che la frase è in forma negativa.
  • Alcuni uomini nuotano: in questa proposizione il soggetto è particolare per il segno alcuni, ed anche il predicato è particolare in quanto la  proposizione è in forma positiva.
N.B. Alcuni si domandano come si possa parlare di un predicato verbale che abbia valenza universale o particolare. E' bene precisare che anche il predicato verbale può tradursi in logica in un predicato nominale. Dire che Scipione vinse Annibale equivale a dire: Scipione fu vincitore su Annibale, dove la vincitore corrisponde proprio alla funzione del predicato.


Luciano Marrucci

22 ottobre 2014

Accordi sul bronzo

Come suona la campana? A rintocchi e a distesa. Si suona a festa o a morto; anche per allontanare la bufera, il fulmine e il turbine della grandine. Raramente a martello (si fa brandendo il battaglio con la mano e percuotendo il labbro della campana dalla stessa parte): è segno di allarme e si invita la gente a radunarsi presso la chiesa.
Le campane hanno un nome, oltre che una voce; il popolo riconosce la campana dalla voce. Il nome è inciso sul bronzo insieme a quello della ditta costruttrice e a quello dell’oblatore. San Giovanni, Santa Maria Assunta, La Misericordia, Gesù Bambino ed anche Maria Bambina (nomi per le campane più piccole). La gente le chiama anche con la parola legata alla loro diversa funzione: L’Avemaria, Il Credo, la campana delle nove, la mezzana, il campanone. Non manca sul bronzo anche il motto. Si legge ad esempio: Sub tuum praesidium, A fulgore et tempestate, Lugeo defunctos (piango i morti). Si dice suonare l’Avemaria, Mezzogiorno, L’or di notte, Il Credo, l’alba e le ventiquattro. C’è anche il suono a dottrina che vale per i ragazzi invitati alcatechismo ed ancora, in alcuni Comuni che posseggono una campana sullo stesso campanile, a magistrato: è quella che convocava i consiglieri comunali nella sala del Municipio.
Nella nostra Cattedrale di San Miniato, sul lato nord, c’è anche la campana del coro: serviva a chiamare i canonici ed i cappellani alla recita delle Ore. Aveva una voce argentina (segno che nella fusione della campana c’era una buona parte d’argento); era la voce più alta, destinata ad invitare il Clero residente intra moenia; ma si poteva sentire non solo nel suburbio, ma anche nella campagna, fino a Marzana ed ai Cappuccini; il suono, oltre che insistente, era anche gradevolmente squillante, grazie al metallo nobile impiegato nella fusione.

Come e quando

Il “doppio” si ha quando più campane suonano insieme (l’accordatura può essere in minore e in maggiore). Per le festività il doppio si faceva precedere dall’accordo.
L’accordo si fa così: avanti la più piccola; la piccola smette e attacca quella un po’ più grande. Questa fa la sua suonata poi cede il suono all’altra, così fino al campanone.
Poi si ricomincia con la più piccina; questa volta però continua e aspetta le sorelle maggiori; così di seguito con le altre fino a che non si forma il doppio. Con l’esaltazione della individualità e della coralità delle diverse voci si ottiene un effetto di giubilo e di solennità irraggiungibile con altri strumenti. L’inizio della funzione viene annunziato dalla “lunga” (la campana che insiste a suonare quando le altre hanno smesso) e segnato dal “cenno”. Lo dà una campanina fuori accordo colocata sopra la sascrestia,;tirata un po’ a strattoni; la voce, nervosina e petulante, pare che dica: “Ci sei o non ci sei? Qui si comincia! Te l’avevo detto. Il prete entra ora”.
C’è da noi un bel proverbio che dice: “Una campana fa a un popolo”. Significa: può bastare anche una campana. E qui mi viene in mente quello che ripeteva il Canonico Agnoloni: “Ne quid nimis”. Attenzione a non esagerare! E’vero che non c’è un suono più bello di quello delle campane; ma fino a poco tempo fa si tendeva ad abusarne: con troppi doppi, troppi lunghi, suonati troppo in anticipo. Bisogna rendersi conto che i ritmi del lavoro e del riposo sono mutati e, dire, sterzati; è ingiusto dare la sveglia a chi ha bisogno di riposare ancora! Non è più il tempo in cui occorreva dare avviso di partire per tempo (un’ora prima) visto che il percorso si può programmare con l’orologio ed abbreviare con l’auto.

L’elettrificazione delle campane, oltre che ridurre incontestabilmente la grazia del suono (considerata l’invariabilità del metro che può rendere monotonia), ha accresciuto la loro disponibilità ad un servizio pesante. Ma le campane non sono elettrodomestici; bisogna fare in modo che la loro voce, meno invadente, giunga più gradita.

16 ottobre 2014

Cosa scrivevano i romani sulle tombe dei bambini

S.T.T.L.


Sono le iniziali di questa frase: "SIT TIBI TERRA LEVIS".
Letteralmente: "Sia a te la terra leggera"; in italiano fluente: "Ti sia leggera questa terra che ti ricopre".
C'è della tenerezza e ancora una forza in questa espressione.
Da notare l'inizio con la consonante sibilante S, presente sia in latino che in italiano nelle parole "silenzio", "sonno" e "sogno".
Questa sensazione si ripercuote ancora oggi quando una mamma ti introduce nella camera dove dorme il suo bambino. Fateci caso! La madre porta l'indice sulla sua bocca e dalle labbra appena schiuse esce un leggero sibilo: "Ssshh... Il bambino dorme, non lo svegliamo!".

13 ottobre 2014

Ci rivedremo a Filippi

Suicidio di Bruto
Plutarco, il grande autore delle Vite Parallele, narra che lo spettro di Cesare apparisse a Bruto con questa oscura minaccia: "Ci rivedremo a Filippi".
Filippi è una città della Tracia prossima al Mar Egeo; fu qui che due eserciti: quello di Ottaviano e Marco Antonio, e quello di Bruto e Cassio, nel 42 a.C. si scontrarono in due battaglie successive. Bruto e Cassio, ormai sconfitti, decisero di suicidarsi.
Da notare che la frase oggi viene usata anche con levità umoristica.
Fissato un appuntamento o un incontro per una cena od altro, siamo soliti dire: "Ci rivedremo a Filippi".

01 ottobre 2014

Calendario Romano


I Mesi, già nel calendario di Numa Pompilio, erano dodici:
  1. Ianuarius
  2. Februarius
  3. Martius
  4. Aprilis
  5. Maius
  6. Iunius
  7. Quintilis
  8. Sextilis
  9. Septembier
  10. October
  11. November
  12. December
Calendae (le calende): il primo giorno del mese.
Nonae (le none): il quinto giorno di tutti i mesi eccetto Marzo, Maggio, Luglio e Ottobre nei quali le none indicano il settimo giorno.
Idus (le idi): il 15 di Marzo, di Maggio, di Luglio di Ottobre, il 13 negli altri mesi.

Pridie: il giorno prima o l’ultimo giorno del mese. Pridie nonas Martii (martias) = 6 Marzo. Pridie kalendas Aprilis = 31 marzo.
Postridie: il giorno dopo. Postridie nonas Martii = 8 Marzo.
Ante diem tertium Idus novembres = 16 novembre.

Per indicare tutti gli altri giorni che precedono o seguono le calende, le none, o le idi si usava il numero ordinale accresciuto di una unità. Il 14 Ottobre = Post diem quintum Nonas octobris (octobres).

Per indicare gli anni i Romani avevano segni modulari I V X L C D M ma quando si trattava di iscrizioni facevano per lo più riferimento alle persone titolari di una carica istituzionale come il Consolato o l’Impero.
Consulibus Crasso et Caio Caesare (essendo consoli; durante il consolato; di Crasso e Caio Cesare).

Ab Urbe condita indicava il punto di partenza quando si usavano le cifre romane; nell’epoca cristiana s’impone la duplice dizione: Ante Christum natum - Post Christum natum, spesso riportate con trasparenti abbreviazioni come “A C N” e “P C N”.

Da calenda deriva la parola Calendario, impropriamente chiamato anche Lunario, che ha invece riferimento alle fasi lunari.

Solvere ad Kalendas Graecas - Pagare alle calende greche. Siccome i Greci non avevano calende, ciò significava semplicemente non pagare mai.

Guardati dalle Idi di marzo - Premonizione e presagio di quello che fu chiamato l’assassinio politico più famoso nella storia. Giulio Cesare fu infatti pugnalato il 15 marzo del 44 avanti Cristo.

22 settembre 2014

Ricordando Marinella

Marinella Marianelli (San Miniato 1921 - San Miniato 2010)

Ripropongo, a distanza di anni, questa recensione da me scritta in occasione della pubblicazione del libro di poesie "Le stagioni del cuore" di Marinella Marianelli.

E’ uscito, a cura delle edizioni Titivillus con i tipi della tipografia Bongi di San Miniato, un libro di Marinella Marianelli.
“Le stagioni del cuore” è un libro di poesie che segue il romanzo “Ipotesi per una fantasma” pubblicato nel 1947 e “Il remoto ieri” che è una raccolta di racconti.
Nella prefazione Marco Cipollini commenta alcuni frammenti di queste poesie.
Lo fa con finezza e con acume di critico che non gli impedisce di esprimere il debito di riconoscenza per aver avuto Marinella Marianelli come docente nei primi anni (i più decisivi) della sua formazione culturale.
Chiunque abbia conosciuto Marinella è portato a condividere ampliamente l’apprezzamento del suo discepolo.
C’è appunto una poesia indirizzata a coloro che, non soltanto hanno prestato l’ascolto, ma hanno tratto dai suoi insegnamenti un orientamento di vita:


Saluto ai discepoli

Per quaranta anni
ho regalato o venduto parole
(pagate sempre assai poco)
a ragazze e ragazzi
come voi.

Per quaranta anni
ho dato qualcosa (questo io spero),
molto io ricevuto
(di questo sono sicura);
non c’è deficit nel bilancio.

Davvero, Marinella qui a San Miniato ha chiuso un bilancio che si esprime in cifra molto positiva. Tutti quelli che la conoscono l’apprezzano in ugual misura.
Come insegnante è sempre stata la stella alfa tra i colleghi e le colleghe negli istituti dove ha insegnato. Va ricordato anche il consenso e l’ammirazione che ha ricevuto anche da parte degli adulti come presidente del “Centro Studi Tardo Medioevo” e della “Università del tempo libero”; in questa attività ha dimostrato di essere un’operatrice culturale di prim’ordine.
Colpisce quando Marinella scrive che il suo solo aldilà è quello della memoria; ma nella poesia “La meta” ammette comunque di sentirsi in un perenne viaggio:

Ho smesso da gran tempo
di credermi in viaggio
verso una meta.
E’ il viaggio la meta.

E’ un viaggio (scrive bene la poetessa) per il quale non occorre una Kawasaki, ma semplicemente anche in Vespa. E persino in Mosquito.


L.M.

26 febbraio 2014

I maestri del dubbio - Sigmund Freud

Sigmund Freud (1856-1939)
Sigmund Freud (1856-1939)
Totem e tabù 1913; L'avvenire di una illusione 1927; Mosè e il monoteismo 1939.
Riscrivere una teologia in termini psicanalitici. E' colpito dal fatto che alcuni pazienti rivelano un comportamento simile a quello religioso. Esisterebbe dunque un'analogia tra il comportamento religioso e quello nevrotico; i sintomi sarebbero riportabili ad un medesimo quadro.
«Quando un bambino, crescendo, si accorge di essere destinato a rimanere per sempre un bambino, che non potrà vivere senza protezione contro potenze sovrane e sconosciute, allora presta ad esse i tratti della figura paterna, si crea gli dèi di cui ha paura, cerca di renderseli propizi ed attribuisce loro il compito di proteggerlo. La nostalgia che il bambino ha di suo padre coincide con il bisogno di protezione che prova a motivo della debolezza umana».

Il complesso di Edipo è per Freud all'origine della religione, così come si trova all'origine della nevrosi. Nel momento in cui il bambino scopre l'amore materno, comincia a vedere il padre come un rivale da eliminare. Avverte la sua dipendenza da lui e gli tributa una sottomissione forzata la cui deroga viene pagata con un angoscioso senso di colpa. Ne uscirà quando il ragazzo imparerà ad indirizzare il proprio desiderio su un oggetto diverso da sua madre, migrando verso un territorio non posseduto dal padre (nel quale finirebbe sempre sconfitto). Ma se avvertirà di non sentirsi ancora staccato dalla madre, continuerà a sentire l'autorità del padre come pericolosa. Vive secondo un rapporto di dipendenza. Ciò l'opprime ma non può farne a meno.
All'origine dell'umanità troviamo un complesso di colpa collettivo. Gli uomini primitivi, che vivevano sotto un regime patriarcale, hanno ucciso il capo del clan; i figli hanno assassinato il loro padre perché stanchi di subire la sua autorità e di essere privati delle femmine riservate a lui; si sono coalizzati, l'hanno ucciso e poi l'hanno mangiato insieme. Questo sta all'origine del banchetto totemico. Il totem rappresenta sempre il padre. Il banchetto totemico celebra l'uccisione del padre e l'appropriazione delle sue forze attraverso la comunione. L'uccisione del padre ha permesso il progresso dell'umanità. Il padre è ancora presente con il suo calco vuoto. La religione è la risposta dell'uomo che avverte il peso di questo parricidio, è una nostalgia malata della sua presenza. «Il morto diventa più potente di quando era vivo».
Per Freud Dio è solo una trasposizione del padre umano. Esso diventa il fantasma di un desiderio, la proiezione compensatoria della difficoltà di vivere e di essere se stessi secondo un progetto autonomo. Freud dimostra di trascurare il fatto che la somiglianza che lega il Padre verso la creatura ha consistenza nel carattere della libertà per cui la religione è un atto di amore e non di schiavitù; il figlio assomiglia al padre in quanto libero.

24 febbraio 2014

I maestri del dubbio - Friedrich Nietzsche

Friedrich Nietzsche (1844 - 1900)
Friedrich Nietzsche (1844 - 1900), si applica allo studio delle religioni e conclude enfaticamente con la famosa espressione: Dio è morto!
Come sono nati gli dei? Gli uomini di fronte alle forze che si sprigionano in loro stessi e nella natura, ne fanno risalire spontaneamente la spiegazione ad una causa superiore, invece di attribuire ai fenomeni una causa naturale. L'uomo religioso è quindi un malato, dalla immaginazione incontrollata, un caso patologico.
Quanto alla religione cristiana, con tutto il rispetto per il Nazareno - unico vero cristiano - è una perversione umana, perché garantendo all'uomo un destino in un altro mondo (quello dell'eternità) lo dispensa dal suo impegno creativo di costruirsi il proprio regno nella zona terrena. Si tratta, secondo Nietzsche, di una morale da schiavi: i cristiani, gregge di deboli e di vili sono incapaci di diventare uomini responsabili.
Per superare il vuoto lasciato dalla esecuzione portata sul proprio Dio, Nietzsche introduce il concetto di superuomo. Il superuomo deve volersi, cioè deve avere il proprio centro di gravità in se stesso. Questo nuovo tipo di uomo è entrato nel mondo della libertà, non è più agganciato ad altri mondi ed è in grado di vivere in pienezza la gratuità, la gioia e la danza. Creatore di valori e di significati, egli inventa se stesso. In altre parole riprende il suo ruolo nei confini del proprio emisfero sottraendolo al Dio cui l'aveva indebitamente assegnato.
«Il mio io mi ha insegnato una nuova fierezza ed io la insegno agli uomini: non rifugiarsi più con la propria testa nella sabbia delle cose celesti, ma portare con fierezza una testa terrestre che crei il senso della terra».

22 febbraio 2014

I maestri del dubbio - Karl Marx

Karl Marx (1818-1883)
Karl Marx (1818-1883), si propone di strappare l'uomo da ogni alienazione: religiosa, politica ed economica. Il fondamento della sua critica contro la religione è il seguente: «è l'uomo che fa la religione, non è la religione che fa l'uomo». Sotto l'influenza di Feuerbach, Marx dichiara che Dio è il riflesso dell'uomo. Dio una somma di attributi trasferiti dall'uomo al suo superiore per un processo di alienazione che produce da una parte un tiranno e dall'altra un suddito senza possibilità di scelte autonome e responsabili. L'uomo realizzerà la propria emancipazione attraverso una radicale trasformazione delle condizioni di vita. La religione sparirà nel momento in cui l'uomo, riconciliato con se stesso, non avrà più bisogno di proiettare in un aldilà immaginario la rappresentazione della felicità che potrà raggiungere in questa terra attraverso il miglioramento delle condizioni di vita.
La religione incentrata sul culto di Dio è l'oppio dei popoli perché frena gli impulsi al miglioramento che si realizza attraverso il rovesciamento dei termini definiti nella subordinazione attuale. Una concezione antropocentrica che si sostituisce ad una concezione teocentrica: Dio non ha più posto, secondo Marx, nel nostro sistema.

17 gennaio 2014

DE CUIUS

De cuius - Di cui. Locuzione contratta per indicare un soggetto noto a chi parla e a chi ascolta. Estratto da una locuzione che ricorre nel linguaggio notarile e che suona così: De cuius hereditate agitur: Della cui eredità si tratta. Con riferimento preciso alle quote dell'eredità.
Qui Matteo Renzi mostra la propria primiera calando la carta di un linguaggio forbito che aggiunge eleganza ad una comunicazione per lo più diretta e quasi popolare.

14 gennaio 2014

Ars loquendi - L'arte del parlare

Fotogramma dal film "Il discorso del Re"
Si conoscono due massime complementari: “verba volant, scripta manent”.
Ne risulta una sentenza che sembra evidenziare il rilievo maggiore di ciò che si scrive su ciò che si dice; come dire: lo scritto rimane, le parole invece si dissolvono nel nulla.
Ma a ben riflettere viene sottolineata la prevalenza che spesso la parola orale può vantare rispetto alla parola scritta; la parola scritta rimane lì, la parola pronunciata ha una forza dinamica che la fa volare e raggiungere meglio il termine a cui si riferisce.
Riflettiamo: Gesù Cristo non disse: “Rimanete e mettetevi a scrivere!”, ma precisamente: “Andate ed annunziate!”.
C’è differenza tra mandarlo a dire e dirlo di persona.
La storia e anche la cronaca confermano che certi mutamenti importanti sono avvenuti in seguito a degli incontri e non a delle missive.

Arrivare nella sala della discussione qualche minuto prima, è come giungere nel campo di battaglia prima dell’avversario. Verificare la funzionalità dei microfoni e individuare la propria sede. Il fiatone di chi deve prendere posizione all’ultimo momento può giocare brutti scherzi. Dicono che bisogna tirare un lungo respiro, ma non basta: è necessario attivare una respirazione regolare; ciò rallenta anche il battito cardiaco e non è poco. E’ anche molto importante fare ricorso, anche a varie riprese, al bicchiere dell’acqua minerale. Ciò serve molto ad allontanare l’ansietà del momento.
Quindi: O (come ossigeno) e H2O (come acqua).
Quando parli cerca di incrociare gli sguardi di coloro che ti ascoltano. Potrai così sperimentare che alcuni ascoltatori, nell’esprimere interesse al tuo discorso, ti aiuteranno a svilupparlo meglio. In qualche modo, proprio loro, possono attivare il flusso delle tue parole.