31 luglio 2009

Citazioni bibliche sul vino dal Vecchio Testamento.


Fabio del Podere del Grillo mi ha consigliato di riproporre le citazioni bibliche sul vino che a suo tempo
avevo raccolte. Lo faccio volentieri perchè lo giudico un completamento dovuto per quanto scritto sugli aforismi sul vino della Scuola Salernitana.

Il vino che fa allietare il cuore dell'uomo, l'olio che fa brillare il suo volto e il pane che sostiene il suo vigore.
Sal 104,15.

Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che ho preparato
Prov 9,5.

Va, mangia con gioia il tuo pane
Bevi il tuo vino con cuore lieto

Il vino allieta la vita.
Qo, 7, 5, 19.

Il vino è come la vita per gli uomini
purché tu lo beva con misura.
Che vita è quella di chi non ha vino?
Questo fu creato per la gioia degli uomini:
Allegria del cuore e gioia degli uomini
è il vino bevuto a tempo e a misura.
Sir 31, 27,28.

Vino nuovo, amico nuovo; lascialo invecchiare;
lo berrai in segutito con piacere.

26 luglio 2009

Luciano Petralli.

Tre giorni fa si sono celebrate l'esequie per Luciano Petralli. Amico da tanti anni. Figura e modello
di un grande medico di campagna. Umile e consapevole ministro di quell'arte e di quella scienza che lui interpretava come missione. Una volta mi disse che in fondo entrambi avevamo seguito due vocazioni non troppo diverse e che era proprio ciò che continuava ad unirci. Ci dovevamo
sentire, questo mi disse, partecipi di quella stessa unione che esiste tra anima e corpo. Voleva dire che il medico cura il corpo e il prete, l'anima; ma l'individuo di cui ci occupiamo è sempre lo stesso.
Se in questa valle, dove lui per tanti anni ha esercitato la sua professione. si dovesse erigere un monumento, io penso che dovrebbe essere quello del " Dottorpetralli".

08 luglio 2009

Il Teatro dello Spirito

La festa teatrale ha reso celebre questo luogo toscano al di là dei ricordi carducciani. Sono dunque dieci anni che il vento della sera – un po’ gelido – del colle porta almeno sulla Toscana, spiriti cristiani e polemici.
Salvatore Quasimodo, 1956


Un teatro diverso. Dovrebbe ormai essere chiaro a tutti che quello che si fa a San Miniato non è una Rappresentazione sacra, non è un Auto sàcramental e neppure un Mistero liturgico della cui reviviscenza si occupano altri.

Non ci è mai interessata un’operazione archeologica intesa a recuperare forme di espressioni teatrali valide in altri luoghi e in altri tempi. Personaggi che vengono dalla Bibbia, dal martirologio o dalla agiografia ufficiale non ci interessano a meno che non accada (ma quanto è difficile!) che una vicenda passata possa venire avanti e proporsi come parabola dei nostri giorni.

Teatro di riflessione. Di riflessione in quanto riflette la situazione di chi vi partecipa: di riflessione in quanto fa riflettere lo spettatore che in essa si ri-conosce. Un teatro capace di interiorizzare il dato esteriore. Questo basta ad opporlo al teatro che diletta, dove lo svago è perseguito come parametro di successo. E, tuttavia, il suo genere non si colloca necessariamente in quello del dramma ingrigito da i toni cupi e foschi della tragedia: potrebbe presentarsi nella levità di una fiaba (e sarebbe il caso che certi autori se ne rendessero conto).

Teatro dello spirito. Non sarebbe esatto chiamarlo teatro della psiche (si tratterebbe di uno psicodramma). Spirito come contrario della materia. E’ ciò che la trascende. E in questo senso può dirsi religioso. Perché va oltre la dimensione terrena e temporale. L’individuo non si correla soltanto verso il suo si-mile o verso se stesso, ma verso ciò che gli appare assoluto, infinito, verso la trascendenza, appunto. In questo tipo di teatro c’è un interlocutore in più, a pensarci bene; una presenza che sta al di sopra e al di fuori e che si manifesta come risonanza misteriosa nella corda profonda dell’anima.

Teatro popolare. Per distinguerlo dal teatro borghese; e ancora teatro dell’uomo comune, opposto al teatro del principe. Comunque, non popola-resco, come a dire spettacolo da bruscello, che si propone come spettacolo d’aia e di piazza del mercato. Vi partecipa il popolo, comprendeva nelle sue componenti la plebe e la nobiltà, il clero e il laico, il contadino e l’artigiano, lo stanziale e il forestiero. Allora teatro di ognuno, in quanto rappresenta la parabola moderna di ognuno.

Teatro dello spazio naturale. A differenza del teatro ufficiale, la cui nomenclatura parla di platea, palco, loggione, ridotto e ancora di quinte, fondali e sipari, il teatro popolare si configura come lo spazio dove comunemente s’incontra la gente: la piazza, il sagrato, l’invaso naturale e talvolta la stessa aula ecclesiale. Salva questa eccezione, si tratta di un teatro all’aperto, a cielo scoperto, dove la nomenclatura è riferita ad elementi naturali come la luna, le stelle, vento, sereno e pioggia. Ciò che accade lì entra della stagione dell’uomo, lo raggiunge nel suo tempo e nel suo spazio. Immenso nella dimensione cosmica di una realtà che si presenta in movimento, l’individuo è portato naturalmente ad interpellarsi sul senso e sulla direzione del proprio cammino. Perché scopre che le coordinate del proprio universo finiscono altrove.

Luciano Marrucci

“Noi precisammo fin dal nostro nascere
che non ci interessava il teatro
puramente devozionale e edificante
che volevamo un teatro impegnato
sui problemi e sulle inquietudini spirituali
del nostro tempo;
non ci attirava una verità,
pura quanto si vuole ma astratta;
ci affascinava invece la parabola
che si incarna
e per questo è cristiana,
una verità che non teme
di compromettersi con la storia
misurando sul concreto le sue responsabilità;
ci interessava insomma verificare
quanto nella realtà c’è ancora di cristiano,
quale sia la sete di Dio e dei valori evangelici
che ancora è dato da rintracciare
nel cuore dell’uomo e nelle sue comunità,
quali siano i segni del tempo
da qualunque parte e cultura e civiltà
essi vengano,
che possano profetizzare
una nuova stagione del cristianesimo”.
Giancarlo Ruggini

07 luglio 2009

La testa del profeta.

E' il titolo del testo teatrale che verrà rappresentato per la LXIII Festa del Teatro di San Miniato. Ho deciso che non ci andrò.
Non che intenda con questo sottrarmi alla stima per la scrittrice, che conosco anche per aver portato sulla scena sanminiatese Le spade e le ferite (opera apprezzabile di Elena Bono per la robustezza e l'eleganza del linguaggio), ma per rimarcare un principio che avevamo fissato a conclusione di un convegno sul Teatro dello spirito. L'argomento è fuori tema!
Infatti, nel fissare il codice di idoneità per l'accettazione di un testo si era stabilito, fra le altre cose, che non si trattasse di argomento biblico o agiografico. Non si può portare sulla scena la vita di San Luigi Gonzaga o la vicenda di Caino e Abele.
Avevamo deciso, sulla stregua del testamento culturale di Don Ruggini e dell'avvocato Gazzini, di rappresentare la parabola moderna, in cui lo spettatore si riconosce in qualche modo nel personaggio.
Appare evidente che gli autori e gli stessi membri di una commissione di lettura o non hanno letto o non hanno atteso allo spirito di un documento che a me sembrava non trascurabile.
E allora non mi resta altro che comportarmi di conseguenza.
Sì, ho proprio deciso, a questa rappresentazione non ci andrò!

01 luglio 2009

Torcular exprimit vinum

Torcular exprimit vinum, oleum verbum. Il torchio spreme vino, olio e parola.
Motto scelto dalle Edizioni dell'Orcio d'oro. A significare che gli strumenti della coltura possono identificarsi con quelli della cultura; il torchio agricolo diventa il torchio tipografico, allo stesso modo che un attrezzo contadino in mano ad un guerriero diventò spesso un'arma da guerra.
Convertibilità della materia! Campane che furono fuse per ricavarne bossoli di cannone; bossoli che furono fusi per farne una campana.... Ma non risuona più in una valle cosparsa di scheggie. Non era meglio lasciar suonar avemmaria in quella valle?