26 dicembre 2011

Giustizia ed equità

L'invito a spianare la strada non riguarda solo la singola persona, ma tutta la comunità di cui ciascuno di noi fa parte. Credimi, se tu ti mettessi a leggere il forte messaggio di Isaia che giunge fino noi, ti accorgeresti quante volte la parola di Dio insiste nel raccomandare la giustizia. Si ricava da una attenta lettura che la Nuova Notizia è anche Bella Notizia  perché è diretta ai poveri, a tutti coloro che sono privi, (privi o privati) dei beni essenziali che fanno parte della nativa dignità dell'essere unano. 
Giustizia ed equità. L'equità, che significa uguaglianza, è il perfezionamento della giustizia, ed è proprio ciò che si raggiunge in un sano ordinamento civile quando i dislivelli sociali vengono spianati. 
Ora anche nel nostro Paese ciò che questa parola significa è conclamato nelle due  Camere del Parlamento, è invocato nelle piazze, riecheggia dove due o tre persone si trovino insieme a parlare del tempo che fa, E' capace, questa parola, di suscitare discussioni, dibattiti e perfino tumulti, Ma anche speranze....
Potrà la Tecnica sanare i guai che la Politica ha portato fino a noi?
E' proprio questo che oggi ci domandiamo; ma il Mercato delle Borse non ci dà una "buona notizia".... Mi viene da pensare che, oltre alla Tecnica, ci vorrebbe un po' di Logica: questa fa proprio difetto anche jn quelli che comandano. Ed anche la Logica non basterebbe,se in ciascuno di noi non scaturisse, non dico un progetto,  ma almeno un proposito di spartirci i beni (anche quelli dello spirito) che Dio ci ha consegnati. Ma il discorso diventerebbe troppo lungo e allora è meglio troncare qui.

18 dicembre 2011

Ogni monte...

Tu mi domandi che cosa significa: ogni monte si abbassi, ogni valle si colmi, ogni sentiero contorto si raddrizzi? Ed io ti rispondo. Alla don Mannari, io ti rispondo: Poggio e buca fanno pari! Ed ancora: Un animo contorto dura più fatica ad arrivare a Dio. E ciò si applica sia alla sfera individuale, come a quella sociale.
Ecco cosa può accadere nella sfera individuale: La superbia, l'orgoglio, la vanità,  prominenze del nostro egoismo, ci impediscono di raggiungere Dio, proprio perchè fanno ostacolo alla nostra vista. In queste condizioni è l'uomo stesso che si nega alla visione del suo sole.
L'avvallamento è un altra cosa. E' lo sconforto, l'ansietà, la depressione: un'amara bassa marea. Dobbiamo tutti convincerci che anche questo costituisce un ostacolo serio nell' interminabile cammino verso la perfezione  cui ogni cristiano viene chiamato. Mi pare di ricordare che San Filippo Neri dicesse: Tristezza e malinconia fuori di casa mia! C'è tempo di recitare il "Miserere" e quello di cantare il "Magnificat", ma in entrambe le situazioni ci deve essere un sereno abbandono nell'abbraccio del Padre nostro che sta nei cieli. Allora non dobbiamo ergerci, ma neanche deprimerci.
Ora mi ricordo che il discorso vale anche nella sfera sociale, ma mi accorgo che non ho più spazio per  altri semini che bisogna mettere radi altrimenti non sorte nulla! Al duemiladodici!

11 dicembre 2011

Preparate le vie del Signore!

Voce che grida nel deserto è anche voce che grida nel silenzio. Proviene da irrangiungibili  solitudini, da insondabili silenzi dove anche un sussurro, un bisbiglio e perfino un sospiro potrebbero essere percepiti dall'orecchio umano. Ora il grido di Isaia, raccolto da Giovanni Battista, si ripercuote fino a noi trapassando la gabbia dei meridiani e dei paralleli, superando tutte le tappe temporali: ecco ora lo sentiamo nella nostra regione lo ascoltiamo nella nostra stagione. Ma cosa dice questo grido? Preparate le vie del Signore!
Quando la guerra distruggitrice passò per le nostre contrade, lasciò cumuli di macerie intorno a noi,  strade ostruite, ponti distrutti, sentieri disseminati di mine; prima ancora di ricostruire abitazioni, scuole e luoghi di culto, tutti quanti ci demmo da fare per riassettare le strade, per riedificare i ponti, per bonificare i terreni minati: Tutti avevamo compreso che le vie che attraversano la nostra terra sono vene e arterie dove scorre il flusso della vita. Appunto, senza vene e senza arterie si muore. Le vie dell'uomo furono preparate e ritornarono a funzionare ancora prima di quanto avremmo potuto sperare. Missione compiuta?
Ma la voce del profeta insiste ancora: Preparate le vie del Signore! Come possiamo seguire questo monito se non sappiamo come partire e dove possiamo arrivare se non sappiamo neppure come partire?
Un bambino aveva quasi approntato un presepio nel sottoscala. Con le sue manine ha scostato un po' i cespi della borraccina, poi ha preso una manciata di farina zero-zero e l'ha sparsa nel sentiero. Ha risposto così alla domanda che era solo nel mio sguardo: "Così ho fatto la strada... Sennò, come fanno i pastori e i magi ad arrivare alla capanna?" E qui, per ora, mi fermo...

05 dicembre 2011

Una prabola ancora nuova

Chi ha letto la precedente riflessone sulla parabole del buon samaritano ha capito che ognuno di noi può ritrovarsi nel ruolo dei diversi personaggi. Come se il calco vuoto lasciato dalle diverse figure  dovesse essere riempito da qualcuno di noi. Tu chi sei in questa parabola? Il pirata della strada che dopo aver investito un passante lo lascia dissanguato sulla strada. O l'uomo di chiesa, rispettoso del precetto festivo,  che giudica conveniente passare oltre, pensando che  tocca ad altri prestare soccorso. Quando si tratta di identificarsi con qualcuno di questi personaggi, tutti, ma proprio tutti, ci chiamiamo fuori. A cominciare dal prete che quando si trova a commentare la parabola, si affretta a precisare: " Badate bene: si tratta di un sacerdote della vecchia legge [Io, con lui, non ho niente da spartire!].
Ma è proprio così che succede! Qualche tempo fa in America si fece una specie di esperimento. Sui bordi della strata fu simulato un grave incidente. La maggor parte degli automobilisti, alla visione di quella figura sanguinante, passarono oltre; quando finalmente qualcuno si fermò e la polizia stradale accorse e lampeggiarono le luci di allarme tutti volevano fermarsi per vedere e per poter raccontare cosa era veramente successo. In America, o anche in Italia? Ecco c'è uno che viaggia con la sua compagna. Lei dice "Rallenta! A giudicare da come è ridotta quella macchina si tratta di un incidente grave! Queste cose non dovrebbero succedere! Ora vorresti anche fermarti? Non ci conviene! La Polizia ci potrebbe considerare i primi indiziati...". 
Fortunatamente esistono ancora dei Samaritani... Loro non guardano il loro tornaconto e rischiano al posto nostro. Quante volte è successo che un operaio è finito in una cisterna satura di gas letali! Uno dopo l'altro i suoi compagni di lavoro si sono calati giù per soccorrerlo. Invano! E così hanno condiviso una stessa fine. Forse era gente che non rispettava il precetto festivo.... non è escluso che durante un duro lavoro siano usciti in qualche bestemmia; ma lo hanno fatto!
E Cristo avrebbe sigillato questa nuova parabola con le antiche parole: Vai, e fai anche tu altrettanto!

Don Luciano Marrucci

25 novembre 2011

La forza delle parabole

La parabola è un tipo d'insegnamento introdotto proprio da Gesù. E' un fatto inventato ma verosimile; non è la cronaca di  un avvenimento che deve rispondere alle famose domande: 'Chi', 'Dove', 'Quando','Come' e 'Perché'. Qui sta la forza pedagogica di un racconto su un fatto che non è successo ad un individuo di cui è precisato il nome, su un fatto che non è accaduto in un tempo o in un luogo determinato; tu stesso, poi diventi il 'Chi'; quel fatto, proprio perché è verosimile, può ritornare ad accadere, sia pure con modalità diverse, può verificarsi dentro o fuori dell'uscio di casa tua, dentro la piazza che frequenti, o nella campagna dove vai a passeggiare. E all'improvviso scopri di identificarti con l'anonimo personaggio dell'intero racconto, come se il nome mancante fosse proprio il tuo. Non hai scampo: sei proprio tu nella parabola dove invano cercavi il nome del suo personaggio...
Ora focalizziamo la nostra attenzione alla parabola del buon Samaritano. All'uomo che era partito da Gerusalemme per andare a Gerico accade d'incontrare la malvagità, l'indifferenza e la bontà. Ci fu chi gli tese un agguato, lo aggredì e lo spogliò di  tutto ciò che aveva. In qualche modo perfino del suo sangue che ora usciva dalle sue ferite. Per i suoi aggressori doveva morire. Ci fu chi passò oltre, temendo di sporcare la sacra veste. E poi era rischioso trattenersi in quel posto. Per loro poteva morire. Ci fu finalmente uno che si fermò a soccorrerlo.
Curò quello che era stato ferito, soccorse quello che era stato trascurato. Costui era un Samaritano! Dunque uno che era considerato nemico giurato dei Giudei. Un Samartano! Non vi viene in mente di quel Senegalese che in quel fatto di cronaca di qualche anno fa, fu l'unico a mettere a repentaglio la propria vita per sottrarre ad una turpe aggressione quella  povera ragazza? A volte l'aiuto ti viene proprio da chi non te l'aspetti.
Mi basta per ora  deporre questo semino di senape, ma scopro che devo ritornare sul commento di questa
stupenda  parabola...

14 novembre 2011

La leggenda di Johann Gutenberg

Satana si avvicinò a Johann… Lasciò che ultimasse la sua opera, poi esplose in una terrificante risata. «Un regalo più grande non potevi farmelo, disse il Maligno, tu non puoi immaginare quanto la tua grande invenzione servirà a me per diffondere l’errore, per sconvolgere le coscienze, per conturbare i sensi dell’uomo. Non ti aspettare una ricompensa dal Cielo per questa disastrosa scoperta!».
Come il demonio si allontanò, l'uomo rimase solo e fu percorso da un brivido mortale, poi si decise: afferrò una mazza e stava per abbatterla sulla sua macchina di legno. Voleva proprio distruggerla. A questo punto comparve l’angelo che fermò il braccio di Abramo. Gli disse: «Non lo fare! Il bene non sarà mai cancellato dal male. Le tenebre non potranno mai soffocare la luce.  Nel Grande Libro che stai stampando troverai ancora: “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno mai”».

31 ottobre 2011

Massime del Seminario di San Miniato

Le sentenze riportate appartengono alla penna  dei Santi Padri o, comunque, di autori cristiani. Tutte quante hanno un carattere universale, ma soprattutto una valenza pedagogica; chi le ha scelte ha inteso esporre un indirizzo di vita che valeva per i seminaristi. Come  per dire:  esponiamo di fuori  ciò che è valido per coloro che stanno qui dentro.
Espressione di un sistema pedagogico proposto dalla cristianità; ma, per il significato  che assume l’intero prospetto da un punto di vista urbanistico e culturale,  potremmo citare una stupenda sentenza  tratta da un grande pensatore dell’antichità: il filosofo Platone.
La sentenza recita così: Non tutta la sapienza abita ad Atene; non tutta la forza abita a Sparta e non tutta la bellezza, a Corinto. 
San  Miniato, piccolo centro in Toscana, circondato (ma non più assediato) da città che vantano ineguagliabili  titoli di cultura e di arte, mostra in questa piazza il suo diploma ad attestare che  un po’ della sapienza, un po’ della forza e un po’ della bellezza trovano abitazione anche qui.

Grande sentenza di S. Agostino

IN DUBIIS LIBERTAS. Nel dubbio la libertà. Nelle cose opinabili accordiamo il criterio della libertà di pensiero e di azione.
IN NECESSARIIS UNITAS. Nelle necessità l’unità. Nella necessità occorre arrivare ad una unità di intenti.
IN OMNIBUS CHARITAS. Sempre l’amore. In ogni caso va applicato come criterio sicuro il valore dell’amore. 

La sentenza, ripartita nelle tre massime, va letta unitariamente e appartiene alla ineguagliabile penna di Sant’Agostino. Una sentenza così incisiva, così limpida e così profonda nel formulare un intero codice di comportamento (valido sia nella sfera individuale che in quella sociale), io non la conosco.
Valida nell’ambito familiare, come in quello politico e religioso. Molti errori ed orrori del passato non sarebbero stati commessi se avessimo osservato questa normativa: ostracismi ed emarginazioni, roghi e condanne, guerre e conflitti si sarebbero evitate, solo se avessimo applicato questa regola universale.
Questa sentenza figura sulla facciata del Seminario di San Miniato, ma credo che potrebbe essere riportata sui frontali e lungo le pareti dei Palazzi dei Congressi, dei Saloni di Conventions dei Partiti, della sede dell’ONU. A maggior ragione dove si raccoglie un Sinodo e si celebra un Concilio Ecumenico.

Estratto dal numero unico stampato in occasione dell’inizio pastorale del Vescovo Fausto Tardelli, il 30 Maggio 2004.

Un grande desktop per una piccola città

Chiunque, attraversato uno dei quattro ponti che serrano e aprono questa piazza, si trova davanti, tutto all’improvviso, un edificio, che, presentandosi come una pagina spiegata da oriente ad occidente, diventa monumento e documento. È la facciata del Seminario. È qui che la groppa del grande cammello accovacciato (la raffigurazione del colle sanminiatese rimanda a questa rappresentazione) mostra la sua variegata gualdrappa.
Qualunque visitatore si sente anche ospite, in quanto prova la gradevole impressione di sentirsi accolto e coinvolto dalla serie di immagini e dalla sequela di parole dispiegate intorno a lui. Ancora più sorprendente la sensazione che può sperimentare chi ha una certa dimestichezza col computer. Di fatto, anche senza rendersene conto, riconduce questa esperienza alla visione di un desktop che si apre davanti a lui.
Ad una osservazione più approfondita scopre in questa facciata gli elementi essenziali che costituiscono il sistema Windows: ci sono le icone date dai medaglioni ovali che qui racchiudono le figure allegoriche; ci sono altrettante finestre (Windows, appunto); infine ci sono i login, cioè le scritte ben definite nel carattere del romano epigrafico.
Tutto considerato, questa piazza potrebbe essere legittimamente sponsorizzata da Microsoft.

Estratto dal numero unico stampato in occasione dell’inizio pastorale del Vescovo Fausto Tardelli, il 30 Maggio 2004.

03 ottobre 2011

Lucciola, lucciola vien da me…

Giovanni, Leda, Flora, il Fiorini, Lido e Ademaro in tipografia
Lucciola, lucciola vien da me…” è il titolo della brochure che ha per autore Franco Palagini. Quaranta pagine in carta “rusticus” con un corredo di riproduzioni fotografiche in bianco e nero. Questa volta l’autore ne è anche lo stampatore, infatti l’opuscolo è stato dato alle stampe nell’aprile dell’anno corrente con i tipi dalla  storica tipografia Palagini. Da questo complesso artigianale sono uscite per decenni le copie del settimanale diocesano, le lettere pastorali di diversi Vescovi,  i programmi, i libri e i manifesti dell’Istituto del Dramma Popolare, due edizione artistiche delle Risorse di San Miniato e varie produzioni dell’Orcio d’Oro. Al banco del proto e a gomito dello stampatore si sono avvicendati scrittori, artisti e raffinati cultori della bella stampa. Era inevitabile che il virus della parola stampata passasse anche in Franco Palagini insieme all’effluvio degli inchiostri respirato fin dall’età prescolare.
C’è una frase nella pagina introduttiva che offre la chiave di interpretazione per quanto intende consegnare ai lettori Franco Palagini: “È come se una sera ci ritrovassimo a veglia a dar sfogo ai ricordi, così, come ci vengono alla mente”. Lucciola lucciola vien da me, viene da pensare alla notte di San Lorenzo dei sanminiatesi fratelli Taviani. Qui e altrove il racconto sembra cominciare dalla fiaba e nella fiaba riconfluire. Franco parla anche del lavoro in tipografia ma si sofferma nei ricordi, nelle rimembranze, nelle rappresentazioni di figure che hanno deciso di lasciare traccia di sé e ora con tenerezza riaffiorano con i loro volti con le loro parole e perfino con i loro gesti. Si tratta di persone che appartengono alla sfera degli affetti familiari: il padre, la madre e i nonni, gente legata col vincolo del sangue e dell’amicizia; ma anche altri personaggi che furono le icone minori, ma non per questo trascurabili, della nostra San Miniato. Ecco come l’autore fa rivivere e quasi rianimare la piazza del Seminario.
“Forse è meglio che descriva la piazza del Seminario, dove si sono svolti la maggior parte di questi avvenimenti: è un piazza rettangolare attraversata da parte  a parte da una strada lastricata; dalla parte della strada si innalzano tre scalinate di diversa forma e altezza che portano alla piazza del Duomo; dall’altra parte della strada c’è il Palazzo del Seminario Vescovile con la facciata riccamente affrescata con figure allegoriche e scritte in latino, mentre al piano terra nel periodo di cui parlo, gli anni ’40 e ’50, c’erano le botteghe artigiane che davano vita a tutta la piazza. Cominciando da sinistra, c’era lo spaccio delle ACLI che vendevano a prezzo conveniente i prodotti che gli Stati Uniti mandavano per aiutare le popolazioni dopo la guerra; accanto c’era Goro, il sarto che cuciva per i preti ed aveva un figlio anche lui in Seminario; dopo le scale c’era l’arrotino Moscatelli, poi gli stagnini Renzo e Aldo e ancora la tipografia di babbo e accanto lo stanzino dove dormiva Memo, un uomo che veniva da Carrara per lavorare dal marmista; in un'altra bottega lavorava lo stagnino Gigione, marito di Mariona, che accomodava solo i tegami e le pentole sfondate mentre lei, assieme ai Luglioli, andava a suonare le campane del Duomo. Poi Ettore il calzolaio e, dulcis in fundo, le casse da morto di Pietrone che però vendeva anche i mobili per la casa. Lungo la strada c’era il negozio di Culino che assieme al fratello cieco vendeva le stoffe al metraggio; Tosca invece vendeva i piatti accanto al laboratorio di marmista del marito, Mario, che era venuta da Firenze per fare il cameriere al vescovo Giubbi.
Custodi del seminario e portieri erano due tipi curiosi: Eugenio e Lancillotto. Eugenio dava da mangiare ai piccioni tanto che bastava che uscisse dalla porta perché ne arrivassero a decine. Lancillotto era piccolino e camminava saltellando, ogni tanto si vedeva partire con la valigia e diceva che andava a trovare i parenti a Empoli. Nelle belle sere di primavera e estate si vedevano lunghe file di seminaristi che andavano a fare passeggiate ristoratrici dopo il giorno di studio.
Ora tutto questo non c’è più, i seminaristi sono finiti, le botteghe chiuse e di queste è rimasto solo il disegno in pietra dell’ingresso a L o a T come nel Medioevo. Le voci e la vita che c’erano allora non si possono ricreare fra i due archi che proteggono la privacy della piazza. Solo lo strillare delle rondini che si rincorrono nelle sere d’estate riesce a ravvivarla un po’.”

Luciano Marrucci

10 settembre 2011

Nessuno scrive al Colonnello.

§ Ho dovuto interpretare come un invito a riprendere la penna in mano quelle piume robuste che i miei due pavoni da qualche giorno lasciano cadere vicino alla mia porta. Belle, variopinte e canterine quando scorrevano con la  unghia inchiostrata su quei quaderni ginnasiali, copertina nera e labbro rosso (ahi quanti ricordi fai vivere tu!). Nel scierglierne tre, per un momento mi è sembrato di riporre delle frecce per la mia faretra; infatti, secondo me, freccia e penna sono una stessa cosa, visto che ambedue hanno una punta e una piuma. Stasera ho deciso di non intingere la punta nel fiele, cosa che saprei fare e non voglio fare e neppure nel miele, cosa che dovrei, ma non saprei proprio fare. In questo non breve post parlerò dei miei insuccessi... editoriali che ho dovuto registrare in queste due ultime settimane.

§ Al Direttore del Timone. Comincio col dire che ho apprezzato la Sua rivista. Non è di larga diffusione, comunque registra un incoraggiante incremento di copie. Meglio badare alla qualità che alla quantità. Avevo pensato che la mia  "Lettera a Margherita Hack" potesse interessarla, considerato il carattere apologetico che Lei e la Sua quadra  sembrate proporvi. La mia missiva, indirizzata a Lei per posta elettronica non ha avuto alcun riscontro. Non mi aspettavo un OK, ma un ROGER, sì! Mi ero dichiarato disposto ad inviarLe il testo sottoponendolo ad un giudizio di merito e, quasi scherzando, a fronte della Sua dichiarazione di disporre di una Nazionale composta dagli uomini della sua squadra, io avevo detto di accontentarmi di un temporaneo posto in panchina...Nudo e crudo, io la metto così a sua giustificazione: Il mio nome e cognome non le dice nulla e allora ha deciso di non perdere tempo a leggere e a rispondere... Ma come pretendere che a leggere siano i cosiddetti "lettori", quando a negarsi a questo esercizio sono proprio i cosiddetti "direttori"?

§ Al Direttore di Famiglia Cristiana. Ora che non serve (di solito un elogio iniziale ha quella funzione chiamata captatio benevolentiae) ci tengo a precisare che Lei ha la mia stima e il mio apprezzamento per quel tipo di lavoro che svolge, un lavoro condivisibile dal punto di vista, sia della intenzionalità, sia dei risultati raggiunti. Ma ora bisogna che Le esprima un mio rimprovero. Caro Direttore, io Le ho indirizzato ben due missive senza ricevere risposta alcuna. Comunque sempre meglio l'eco delle proprie parole che la solita formula di protocollo memorizzata dalla solita segretaria...Avendo ragione di dubitare che abbia letto qualcosa, replico gli argomenti di quanto ho inviato:1) Proposta di pubblicazione di un testo, magari in inserto speciale.2) Il Testo della Lettera a Margherita Hack.. Tenga presente che mi stavo rivolgendo a Famiglia Cristina in seconda battuta, dopo che la mia proposta al periodico "Timone" non aveva avuto seguito; quindi non posso essere annoverato tra coloro che rendono trasparente la loro vanità mirando al posto migliore. Se la ragione per cui non poteva leggere un testo era perché l'autore le era completamente sconosciuto (motivo più che plausibile) a Lei lo dico: A volte un ricorso a Wikipedia andrebbe fatto. E lo stesso Google a volte pubblicizza profili di persone che non ci erano note.

§ Mutato l'ordine dei fattori, il risultato non cambia: Nessuno scrive al colonnello.
Forse perché nessuno ha preso in visione la sua richiesta. Ma a volte il mondo del Web ha degli imprevedibili rimbalzi... E' allora finisce per raggiungere perfino coloro che si giudicavano irraggiungibili...

24 luglio 2011

Ma che tempo fa?

§ Questo luglio senza solleoni....e il  termometro che segnala per la temperatura interna poco più di venti gradi, mentre per la temperatura estera solo diciotto... ma dove sono finiti quei bei solleoni che finora hanno accompagnato la festa di Cigoli? Il mio umore ne ha risentito: Male, ne ha risentito e così, facendo l'esame di coscienza della sera, mi accorgo di essere stato meno corretto col mio prossimo. Duro e a tratti drastico anche che persone che non meritavano questo trattamento. Mi resta  in bocca l'amaro che intendevo riversare su altri. Ma non sono così imbecille da scaricare la colpa sulle previsioni atmosferiche....
§ Tutto questo dipende anche dal fatto che per questo periodo avevo programmato un certo lavoro per il mio nuovo sito di logica. Ebbene, i miei collaboratori pare che si siano messi d'accordo nel lasciarmi in mezzo al guado. Quelli che scherzosamente chiamo gli oblati dell'Abbas Nullius hanno la fidanzata, e non posso invocare
la regola di un rigido celibato in questa derelitta e quasi sconosciuta abbazia. Vanno al mare anche se di notte.
non c'è verso, devono mettere la canottiera di giorno e il maglione di notte.Provo soddisfazione al pensiero di quanto siano pungenti la sera le brezze marine..
§ Un po' sotto la luce della mia abat-jour, un po' davanti al mio monitor, provo ad addentrami in una foresta dove i miei piedi avanzano troppo lentamente, ora che le mie mani devono lavorare molto di più al confronto. Mi sembra di procedere a colpi di macete.perché a volte non si tratta di percorrere una strada, ma addirittura di farsela. Parlo del mio studio sulle categorie, un'area dove si sono dati convegno Aristotele, Kant, Hegel!
Mi accade di riscoprire a tratti il sentiero già percorso tanti anni fa. Ma quanta fatica! Ora mi accorgo, e mi costa
quasi una pena confessarlo, che le mie facoltà intellettuali non sono più quelle di mezzo secolo fa. Quando anche la mia mente sembrava sprigionare i fulgori di un diamante. Un diamante. Magari piccola, ma tersissima pietra uscita dallo starnuto di una grande vulcano, come se una grande luce si fosse concentrata e poi cristallizzata proprio lì.La gioia che provavo nell'esercitare questa facoltà,che era in me ma non veniva da me, l'avrei proprio chiamata felicità.

20 luglio 2011

Preghiera della sera.

§Nella recita del divino Ufficio ieri sera (circa due ore fa; ora sono passati 30 minuti dalla mezzanotte) mi ha sorpreso il clima crepuscolare dei Vespri assegnati al mercoledì della  IV settimana. Ecco alcune stofe dell'inno che ho recitato.
                        Artefice e Signore
                        della terra e del cielo,
                        aurora inestinguibile
                        giorno senza tramonto,

                        Dona alle stanche membra
                        la gioia del riposo
                        e nel sonno rimargina
                        le ferite dell'anima.
                     
                       Se le tenebre scendono
                       nella città degli uomini,
                       non si spenga la fede
                       nel cuore dei credenti.

E nel salmo 138 tutti coloro che hanno condiviso con me il privilegio di prendere contatto con la parola che risuonava stasera per tutti noi, si poteva leggere:
                                                                       Se prendo le ali dell'aurora
                                                                       per abitare all'estremità del mare,
                                                                       anche là mi guida la tua mano,
                                                                       e mi afferra la tua destra.

                                                                       Se dico: "Almeno l'oscurità mi copra
                                                                       e intorno a me sia notte",
                                                                       nemmeno le tenebre per te sono oscure,
                                                                       per te le tenebre sono come luce.

§ Ieri, era ieri  che fui sorpreso di trovare annunciato nell'ora vespertina quel composto, penetrante languore che si ritrova nella Compieta, l'ora serale che chiude la giornata. Con questa preghiera si chiude la palpetra sull'oggi che muore. Che muore e domani vorrebbe risorgere. Tutti e sette gli inni sono intrisi in questa idea e riverberano la stessa emozione emozione.
Ecco alcune strofe della Compieta:
                                                     Al termine del giorno,
                                                     o sommo Creatore,
                                                     vegliaci nel riposo
                                                     con amore di Padre

                                                     Dona salute al corpo
                                                     e fervore allo spirito;
                                                     la tua luce rischiari
                                                    le ombre della notte.
                                                   
                                                   Nel sonno delle membra
                                                   resti fedele il cuore,
                                                   e al ritorno dell'alba
                                                   intoni la tua lode.

§ Rammento e ricordo... Quella notte un grande regista, grande nel teatro, ma ancora più nel cinema, mi confidò che pur arrivando nel suo letto stanco e stremato, non riusciva a prender sonno se non a notte molto inoltrata. Tuttavia era deciso di non ricorrere  per questo a prodotti di farmacia. Non feci domande sulle incursioni di figure allettanti o inquietanti inarrestabili di fronte al diaframma della propria coscienza Una danza
di personaggi in maschera cui  è dato di assistere ma non di poter fermare. Allora gli dissi: Ti propongo di leggere la Compieta prima di coricarti. E il giorno dopo gli portati un libretto in cui c'erano tutte e sette le preghiere serali. Doveva trattenersi a San Miniato ancora diversi giorni. Davanti all'albergo Miravalle quella sera io l'interpellai soltanto con uno sguardo. Lui sorrise e disse soltanto questa parola: Funziona!

















                  

15 luglio 2011

Homage to the Big Apple

The Big Apple, 1980, by Rick Dikeman

Immagine di Steve Jobs
fondatore della Apple
§ L'espressione Grande Mela è utilizzata per indicare la città di New York. Nel 1909 Edward S. Martin, nel libro "The Wayfarer in New York" (Viandante a New York), paragona lo Stato di New York ad un melo con le radici nella valle del Missisipi ed il frutto a New York.
Fu nel 1920 che John J. Fitzgerald rilanciò questa denominazione in voga presso gli scommettitori di corse sui cavalli nell'ippodromo di New York. La denominazione ha incontrato una grande fortuna più recentemente; è da notare che Steve Jobs sembrerebbe aver raccolto la suggestione di un'immagine che ha proposto come emblema della sua azienda: la mela "morsicata".




Franco Sacchetti, autore
delle Trecentonovelle
§ Alla distanza di oltre 6 secoli mi sono ritrovato personaggio di una novella scritta da Franco Sacchetti, probabilmente proprio qui a San Miniato. In una delle sue trecento novelle si racconta di un giovane che, al suo ritorno dalla Sorbona di Parigi viene sfidato a tagliare un pollo con "gramatica": «Tu che hai studiato retorica e che ora sei festeggiato per la tua laurea con questo pranzo per il quale abbiamo cucinato un magnifico pollo, devi provare a tagliarlo con gramatica». «La richiesta mi giunge inaspettata», rispose il giovane accettando la provocazione, «ma mi ci proverò!». Successe che, brandito un coltello, il neo-laureato cominciò a tagliare il pollo già cucinato, eliminando cresta, capo, zampe e alette che distribuì equamente a tutti i commensali. Poiché la matrigna continuava a dire che a Parigi il figliastro non era altro che un corpo morto a spese del padre, il giovane concluse così: «Qui davanti a me vedo solo un corpo morto e devo concludere che questo corpo morto tocca proprio a me».


Taglio della mela con logica
al Ristorante "Il Genovini"
§ In qualche modo a me è successa la stessa cosa di ritorno dal mio viaggio di studio alla Columbia University: «Qui noi tuoi amici vorremmo invitarti a dimostrare che anche una mela, dato che siamo alla frutta, può essere tagliata con una certa logica».
In qualche modo ho avuto buon gioco ricordandomi della risposta data da un neo-laureato più di 6 secoli fa: «La richiesta mi giunge inaspettata, ma mi ci proverò!».
E fu così che ho brandito un coltello ed ho incominciato a sezionare la mia rossa mela: «Vedete, congiunte le due premesse di un sillogismo; la conclusione che ne segue riconduce ad unità un unico ragionamento». I miei amici mi hanno gratificato di un piccolo applauso: era quello che non mi aspettavo.

Qui la mela è ancora sul tagliere

Ma ora ci vuole un coltello
Bisogna operare un taglio a croce

Si fa proprio così!

Quattro tagli invece che due

Ecco le due premesse

Missione compiuta!

21 giugno 2011

Foto alla Butler Library della Columbia University

Butler Library at Columbia University of New York
Foto scattate il 3 maggio 2011 nella Butler Library della Columbia University



Qui Don Luciano Marrucci sta svolgendo i plichi Chiavi di logica, già destinati alla Butler Library

10 giugno 2011

Foto all'Istituto Culturale Italiano dell'Ambasciata Italiana di New York

Luciano Marrucci e Riccardo Viale

Riccardo Viale e Luciano Marrucci

All'Istituto Culturale Italiano dell'Ambasciata di New York

Luciano Marrucci e Riccardo Viale all'Istituto Culturale Italiano dell'Ambasciata di New York

Fuori dall'Ambasciata di New York

Foto con il Prof. Achille Varzi della Columbia University di New York













Lettera a Margherita Hack - 8° e ultima puntata

Toscana Oggi - 12/06/2011 - Pag. 18


Chiarissima e carissima Margherita Hack,
è venuto il momento di chiudere questa missiva; avrei potuto continuare per altre tre o quattro puntate per parlare delle vie che ci conducano a Dio, ma una voce mi dice che non devo estenuare i  miei lettori nella pretesa di esporre compiutamente il mio pensiero.
In quest’ultima parte mi concedo di partecipare a lei, a quelli che condividono la sua posizione, a me stesso e a quanti condividono la mia stessa posizione, di mettersi in ascolto dei segnali continui che ci raggiungono nella nostra esperienza personale. Sperimentare la gioia della scoperta dell’Intelligenza, della Bontà e delle Bellezza presenti nelle tracce, nei signacoli e, direi, nei messaggi che intessono la nostra giornata.
Le fusa di un gatto, il gioco di un cucciolo, uno scarabeo che quasi stavi per calpestare, quei papaveri rossi spuntati sul sentiero della tua passeggiata, l’incontro con persone diverse da te, i loro gesti, i loro sguardi, le loro parole. Allora potrai scoprire, con gioia e stupore lo scoprirai, che un bambino può insegnarti molto più di un collega di studio. Chiudo con questa esperienza di catechismo.
Il Colophon di Dio.
Questo fu il tema di una lezione di catechismo ai miei ragazzi di Corazzano.
Colophon è una parola difficile che significa una cosa molto facile: E’ un ghirigoro che completava una firma nei manoscritti antichi. A forma triangolare, partiva dall’ultima lettera della firma e finiva in un punto in basso dove aveva deciso lui, lo scrivente, come per dire: questa firma è proprio la mia.
Un giorno, scendendo i gradoni della nostra antica Pieve, ho visto questo coso sulla parete avoriata che si trova dalla parte del vangelo, o come si dice noi preti, in cornu evangeli. Mi accorsi che era un piccolo scorpione. Mi avvicinai per osservarlo meglio. Lui era fermo, perché questi animali simulano la morte proprio per scansarla. Nel suo piccolo, mostrava una bellezza superba. Più che nero, era bruno come certi inchiostri. Le placche della corazza alle giunture avevano i lucori rossastri che hanno i gamberetti. Immaginai che, immobilizzato dalla paura, lui mi guardasse. Pareva proprio un colophon quel trangolino scuro- Come se fosse la firma di qualcuno. 
Come se qualcuno dicesse: questa Pieve che tu vedi è mia. Mi appartiene. Quello scorpione a me sembrò la firma di Dio.
Riflettei che forse avrebbe potuto impaurire qualche donnina se lo avesse visto e, se avesse punto un bambino, gli avrebbe procurato un bel febbrone. Ma che diritto avevo di schiacciarlo? Di certo discendeva da una dinastia di scorpioni che da chissà quanto tempo avevano preso alloggio in questa chiesa. Dunque c’era prima di me. Lasciandolo avrei voluto dirgli di salire più in alto, verso le capriate.
Ed ora mi domando: ho fatto bene o ho fatto male a non sopprimerlo? Lo domando anche a voi…Ho fatto bene o ho fatto male?
La risposta che ebbi da quei ragazzi fu per me imprevedibile: risposero con un applauso. Che mi commosse.
Chiudo, indicando nome e cognome, impossibilitato a fare una firma autografa accompagnata, come vorrei, da un curioso ghirigoro: colophon, appunto.
San Minato, 5 maggio A.D. 2011.

Don Luciano Marrucci

L'acqua è sempre acqua


Ai Ponticelli viveva, solo solo, un uomo che aveva una casettina vicina all’Arno. Era piuttosto sdubbiato perché ogni tanto il fiume gli portava l’acqua in casa e, quando una grandinata con dei chicchi grossi così gli rovinò l’unica proda del suo unico campo, si decise: vendette tutto e partì. Partì per fare un pò di fortuna. Girò e rigirò fino a che non andò a finire in Africa.
Ma ci fu un brutto giorno in cui si trovò in un deserto, un mare di rena che non finiva mai. Siccome c’era tanto sole e punta acqua, stava sul punto di morire di sete. Camminava gattoni sulla sabbia, quando vide come una borsa di cuoio.
Immaginò che fosse una borraccia d’acqua e, dopo averla agguantata, l’aprì: c’erano dei chicchi bianchi, grossi così. Allora li scagliò lontano con rabbia. Disse: « Maledizione! Non sono che perle!»

L.M.

Non se la sentì


Si tratta del grande Papa Leone Magno. Pare che nel giorno di Natale, quando ormai era parato per celebrare la Messa, gli vennero a dire che a Roma era morto uno di fame.
Lentamente cominciò a deporre i paramenti.
- Ma che fate, Padre? C’è tutta la gente che aspetta questa Messa!
- Oggi non me la sento - rispose il Papa - se non siamo stati capaci di spezzare il pane terreno ed uno fra noi è morto per questo, allora non è giusto nemmeno spezzare il pane celeste.

L.M.

08 giugno 2011

Socrate


Una nuova ciliegia fresca fresca, colta dall'albero proprio stamattina!

Un tale si avvicinò a Socrate e gli fece questa domanda:"Che è meglio: la situazione del celibato o quella del matrimonio?"
Ed ecco la cruda risposta del filosofo: "In tutti e due i casi te ne pentirai!"

L.M.

04 giugno 2011

Lettera a Margherita Hack - 7° puntata

Toscana Oggi - 05/06/2011 - Pag. 18

Chiarissima Margherita Hack,

l’ho appena detto, Lei non si limita a negare che attraverso la ragione si possa arrivare alla certezza che esiste un Essere fuori dell’universo, ma intende addirittura affermare che si possa dimostrare che un essere, così concepito,non esiste nemmeno. E come giunge a questa conclusione? A me pare di capire che si affida semplicemente (qui preciso, “unicamente”) a questo tipo di ragionamento:
Ciò che ora appare inesplicabile quando volgo la mia osservazione all’universo, troverà inevitabilmente una spiegazione successiva da parte della scienza. Ergo, non c’è bisogno di ricorrere alla esistenza di un Essere creatore e ordinatore delle cose che ci circondano.
Un ragionamento, osservo, che non eccelle nemmeno in fantasia, dato che si presenta come il clone in negativo di quello invincibilmente proposto da Padre Copleston: Il cosmo nel suo insieme e nei suoi dettagli è inesplicabile se non si pone una causa fuori di esso.
Ma a questo punto Lei, rinomata astrofisica, esce dal campo dove nessuno può negarLe un diritto di insegnamento, e irrompe, con allarmante tranquillità, irrompe, nel campo dove chiunque può imputarLe un difetto di apprendimento. C’è differenza tra fisica e metafisica anche quando questa si esprime
sugli aspetti profondi delle realtà corporee. Possibile-Impossibile,
contingente-necessario ed ancora ente-niente e, se vogliamo, caos-cosmo sono nozioni che appartengono all’ambito della metafisica. Quando poi uno tenta, appropriandosi di una facoltà che non gli compete, di organizzare, su concetti non posseduti, un discorso logico, finisce nel commiserando errore di cadere e addirittura di proporre un sofisma. Tutti gli studiosi di logica sono concordi nel dire che il sofisma non è altro che un sillogismo ingannevole. Per lo più a proporre l’inganno è qualcuno che sa d’ingannare; a volte, è lo stesso proponente ad essere vittima di un inganno mentale (questa forma di sofisma è chiamato paralogismo); in questo caso l’ingannato diventa ingannatore, ancora più efficace, in quanto ciò che asserisce sembra partire da una sincera convinzione. Smascherare un sofisma diventa inevitabilmente, nel primo caso, uno schiaffo (meritato!) all’onestà intellettuale di chi lo propone, e nel secondo caso, un biasimo correttivo verso chi ha fatto di tutto per farti cadere nella medesima buca…
Ecco perché chiamo sofisma il ragionamento che Lei propone ai suoi ascoltatori: Le scienze naturali rilevano misteri, da alcuni di noi chiamati meraviglie, riferiti al concretizzarsi della materia, al passaggio dalla materia organizzata a forme di vita dove l’orma di una costante razionalità è innegabile.
Lei sembra procedere così: ciò che la scienza rileva come provvisoriamente inesplicabile verrà successivamente spiegato dalla scienza stessa.
Dunque non c’è alcuna ragione di appellarsi ad una spiegazione diversa da quella che la scienza stessa può offrirci.
Come dire: Basta un po’ di pazienza, poi tutto si chiarirà!
Come dire: Hai scoperto una tela e pretendi di risalire al pittore? Non potrebbe essere frutto del caso?
Come per dire: La struttura delle vertebre di qualunque vivente corrisponde ad una calcolo matematico? Ma non potrebbe dipendere dalla necessità?
Come dire: Perché guizzano dei pesciolini rossi in un vaso di vetro? E’ perché c’è dell’acqua in quel vaso!
Chi l’ha detto che basta che chi percepisce la certezza del mistero delle cose può alimentare la certezza di poterlo decifrare? Col progredire della ricerca la scienza va invece incontro a velari sempre più densi: Penetrabili solo da una luce che parte da altra sorgente.
Non so se mi sono spiegato, ma ora, chiarissima astrofisica, mi rifiuto di considerarLa semplicemente una scimmia evoluta come lei, spero scherzosamente, si è definita, e mi permetto di sottomettere alla sua considerazione alcuni spunti di riflessione:
  • Il “caso” è l’anagramma ortografico e logico di “caos”; genera solo aborti.
  • La razionalità presente nelle cose irrazionali. Un mistero che la scienza può solo rilevare.
  • E’ semplicemente anti scientifico scambiare la condizione per una causa. Se metto solo dell’acqua in un vaso di vetro non vedrò mai comparire dei pesciolini rossi.


… continua…

Don Luciano Marrucci

30 maggio 2011

Lettera a Livio Salvadori

Carissimo Livio,
ti sono molto grato per la premura che dimostri nel tuo interessamento sul mio stato di salute e sulla mia attività.
Sto abbastanza bene, anche se devo fare un puntuale ricorso ai farmaci. Tu sai che sono un cardiopatico con trascorsi clinici abbastanza severi.
Mi arrangio da solo per farmi da mangiare. Conduco una vita in cui ci deve essere spazio per la preghiera e per i miei impegni culturali. Alterno momenti di studio con lunghe pause di riposo. E’ vero: sono fondamentalmente un ozioso; tentando di riscattarmi, aggiungo che sono un contemplativo. Certo, lavoro ancora, dominato da molteplici interessi.
Purtroppo, lo dico mio malgrado, alla mia età sto diventando sempre più un uomo pubblico. Ti sembrerà strano, ma è proprio così. Internet è diventato ormai il canale obbligato per rispondere alle richieste della mia community; col risultato che mi resta poco tempo per indirizzarmi a quelle persone che rimangano fuori di questa sfera.
Per loro non ho quasi più tempo e allora devo chiedere ad essi di capirmi o di venirmi incontro anche avvalendosi di amici cibernetici. Questi si trovano a tutti l’usci.
Te lo ripeto, nel BLOG DELL’ABBAS NULLIUS è aperto il giornale della mia attività, dei miei progetti e, in certi casi del mio stato d’animo. Recentemente ho fatto un importante viaggio di studio a New York presso la Columbia University.
In quel blog ho scritto il mio diario, ho riportato foto, ho relazionato dei miei incontri ed ho inserito due video. Ho buttato molto tempo lì e non me ne resta più per gli amici che mi interpellano chiedendomi quel tempo, che io sto comprando da altri. Allora mi sento un po’ mortificato, perché non posso rispondere alle istanze dei miei amici.
Livio, io col mio assistente gestisco tre siti e sono attivo in Facebook. Lo dico quasi con un senso di colpa: a quanto pare le nostre vite non sono parallele: anche se ritornando indietro devo riconoscere che “i nostri migliori anni” sono ormai trascorsi.
Ti abbraccio,
Don Luciano

Lettera a Margherita Hack - 6° puntata

Toscana Oggi - 29/05/2011 - Pag. 18

Chiarissima Margherita Hack,
Questa volta le citerò un libro che quasi certamente Lei conosce molto bene. Immagino che occupi uno spazio ben definito in qualche scaffale della sua libreria. Precisamente in quel reparto dello scaffale dove, in eloquente disordine, si trovano i libri più consultati, veri manuali di uso e consumo di uno studioso, separati dai tomi ben allineati pubblicati dalle grandi case editrici, e da quei saggi che trattano temi più disparati, come si dice, di “cultura e società”. Il titolo di questo libro è: «Perché non sono Cristiano» di Bertrand Russell, edito da Longanesi & C. Io ne ho una copia da una ristampa del 1959.
Bene: andiamo a pagina 179, il titolo del capitolo è: “L’esistenza di Dio”. Riporta un dibattito tra Bertrand Russell ed il Gesuita F. C. Copleston. Il dibattito si effettuò nel 1948 nel Terzo Programma della BBC. Io non so se si deve ammirare di più la lealtà di Russell che chiede il consenso alla pubblicazione dal proprio avversario di un documento in cui lui stesso, a detta di molti, non uscì vincitore, o l’accondiscendenza di Padre Copleston nel venire incontro alla sua richiesta in un confronto in cui non si arrivò ad un punto di accordo finale.
A delimitare l’ambito del confronto, il Gesuita esordisce proponendo una definizione di Dio: «ci possiamo concordare sul significato che diamo sulla parola Dio? Credo che intendiamo un ente supremo, personale, distinto dal mondo e creatore del mondo. Siamo d’accordo?» E questa fu la risposta di Russell: «Sì, accetto questa definizione». Ora Copleston sembra incalzare, ma intende soltanto delimitare il campo della discussione: «Ora vorrei sapere se la Sua posizione è quella dell’agnostico o quella dell’ateo; in altre parole, secondo Lei, la non esistenza di Dio può essere dimostrata?» Ed ecco la risposta stringata del filosofo Russell: «Non è questa la mia posizione: io sono agnostico». Fermiamoci su questa considerazione.
Magari non tutti i suoi ascoltatori conoscono l’abissale differenza che esiste tra la posizione dell’agnostico e quella dell’ateo. L’agnostico, ad una domanda sull’esistenza di Dio, risponde così: «Io non lo so», lo dice perché, a suo giudizio, non esistono motivi per affermarlo, oppure perché, in presenza di motivi positivi e negativi che si elidono a vicenda, non è in grado di esprimersi in un giudizio univoco e preciso; l’ateo, invece, afferma decisamente che Dio non c’è; per lui, non solo non si può dimostrare l’esistenza di un essere superiore, è possibile invece dimostrare la sua non esistenza. Per ora mi basta evidenziare che Lei, chiarissima Margherita Hack, quando afferma di poter dimostrare che Dio non c’è, si porta molto oltre quella che è la posizione di un grande logico e matematico, come è tutt’ora giudicato Bertrand Russell.

… continua…

Don Luciano Marrucci

27 maggio 2011

Rammentare e ricordare


Un giorno morì un uomo che aveva insegnato a parecchie persone.
Alcuni rammentavano le sue parole, perché erano rimaste impresse nella loro mente. Questi erano soltanto scolari.
Altri ricordavano le sue parole, perché erano rimaste impresse nel loro cuore. Questi erano veramente dei discepoli.
Se l’eredità che lasciò fu diversa, fu solo perché diverse erano le persone che erano rimaste.

L.M.

L'acqua è sempre acqua


Ai Ponticelli viveva, solo solo, un uomo che aveva una casettina vicina all’Arno. Era piuttosto sdubbiato perché ogni tanto il fiume gli portava l’acqua in casa e, quando una grandinata con dei chicchi grossi così gli rovinò l’unica proda del suo unico campo, si decise: vendette tutto e partì. Partì per fare un pò di fortuna. Girò e rigirò fino a che non andò a finire in Africa.
Ma ci fu un brutto giorno in cui si trovò in un deserto, un mare di rena che non finiva mai. Siccome c’era tanto sole e punta acqua, stava sul punto di morire di sete. Camminava gattoni sulla sabbia, quando vide come una borsa di cuoio.
Immaginò che fosse una borraccia d’acqua e, dopo averla agguantata, l’aprì: c’erano dei chic¬chi bianchi, grossi così. Allora li scagliò lontano con rabbia. Disse: « Maledizione! Non sono che perle!»

L.M.

23 maggio 2011

La figliola della madre


In un tempo molto antico, ma forse in un luogo non molto distante da qui, successe che una donna
ormai anziana commise un grande delitto.
Così fu condannata a morire di fame in un’oscura prigione. Questa donna aveva una figliola che
riuscì ad avere il permesso di visitarla fino a quando non fosse morta.
Ma questa donna non moriva mai… anzi sembrava più fresca di quando l’avevano messa dentro. Bensì le guardie stavano attente che la figliola non le portasse qualcosa di soppiatto…
Allora il carceriere provò a spiare dalla finestrina della prigione e vide una scena che non si sarebbe
mai immaginata: la figliola stava allattando sua madre!
I magistrati rimasero così commossi, quando vennero a sapere tutto, che lasciarono in libertà la
vecchia e la giovane.

L.M.

Buona come il pane


Questa bambina era nata in una povera casa esposta a tutti i venti.
Nella stagione invernale la mamma, non sapendo come ripararla dal freddo, la metteva sul labbro del forno dato che ogni settimana faceva il pane. Man mano che il forno raffreddava la madre metteva questa figliolina sempre più dentro insieme ad una catinella d’acqua per dare un po’ d’umidità a questo forno. Bisognava vedere come questa bambina ci stava volentieri incantata a guardare la grande volta di mattoni.
Con il passare del tempo diventò sempre più bella e le sue manine presero proprio il colore di certi biscottini di una marca che non si dice perché, sennò, si farebbe pubblicità.
Quando fu grande si fece suora e le furono affidati i bambini dell’asilo.
Le mamme erano molto contente di lei e tutte dicevano:
“E’ buona, è buona come il pane!”.
I bambini nell’abbracciarla l’annusavano e erano convinti di sentire l’odore di un pane appena sfornato.
Una volta le dissero: “E’vero, tu sei buona proprio come il pane”.
E lei rispose: “Per forza: mi hanno messo in forno!”

L.M.

11 maggio 2011

Il faut partir

§ Domani partenza. Sandro mi dice che all'aereoporto bisogna esserci quattro ore prima. Mi parrebbe un po' troppo: comunque ho programmato di impiegare la mattinata ad una visit alla statua della Libertà.
§ Da un punto di vista turistico posso dire che ho raggiunto mete più di quanto potevo sperare. Ciò che mi reca soddisfazione è che il mio progetto culturale è andato bene e già individuo le strade che mi porteranno al suo pieno compimento. Deo gratias.

09 maggio 2011

Fithieth Avenue.

§ Ieri visita al Guggenheim Museum. Ho percorso così la spirale di una enorme chiocciola. @ Mi ha raggiunto una lunga missiva. Stupore e meraviglia! Ne potrei parlare a lungo. Troppo a lungo.
Per la seconda volta ho percorso la quinta Avenue. Non è proprio come uno la immagina in Italia. Da una parte la frontiera degli edifici e dall'altra lo scenario verde del Central Park. E' piacevole, quasi rilassante percorrerla a piedi. Sono giunto qui prendendo e ritornando un taxi. Spesa totale: 38 dollari.

08 maggio 2011

Da Westside Morning Park

§ Fino a due giorni fa mi ero rassegnato a considerare il mio soggiorno una missione di studio e basta; contatti con il dipartimento di Logica, incontri con il Prof, Achille Varzi, contatti la Casa Italiana della Cultura sempre alla Columbia U, con l' Ufficio Culturale dell'Ambasciata Italiana in America. Raggiunti questi target, anche con l'apertura di nuove prospettive per un progetto che in seguito spiegherò ero quasi deciso a rinunciare alle finalità turistiche che mi ero ugualmente proposte. Una rinuncia che da una parte mi avviliva e da un'altra parte mi rasserenava. La NY nella sua grandiosità mi spaventava, lo ammetto. Come potevo raggiungere mete importanti da solo? A questa eta? Lontani i tempi dei miei soggiorni a Londra e a Parigi nelle cui Metropolitane mi trovavo giulivo e sicuro come un sorcio nella sua cantina. E' stato il mio amico Sandro Cestaro a togliermi dal Perimetro che va dall'Amsterdam Avenue dall' West Side di Morning Park. E allora anche a me è parso di scoprire l'America che avevo già sognata-.

07 maggio 2011

Foto da New York

Ecco qualche foto di Don Luciano a New York (cliccare sulla foto per vederla nelle dimensioni originali)