31 ottobre 2011

Massime del Seminario di San Miniato

Le sentenze riportate appartengono alla penna  dei Santi Padri o, comunque, di autori cristiani. Tutte quante hanno un carattere universale, ma soprattutto una valenza pedagogica; chi le ha scelte ha inteso esporre un indirizzo di vita che valeva per i seminaristi. Come  per dire:  esponiamo di fuori  ciò che è valido per coloro che stanno qui dentro.
Espressione di un sistema pedagogico proposto dalla cristianità; ma, per il significato  che assume l’intero prospetto da un punto di vista urbanistico e culturale,  potremmo citare una stupenda sentenza  tratta da un grande pensatore dell’antichità: il filosofo Platone.
La sentenza recita così: Non tutta la sapienza abita ad Atene; non tutta la forza abita a Sparta e non tutta la bellezza, a Corinto. 
San  Miniato, piccolo centro in Toscana, circondato (ma non più assediato) da città che vantano ineguagliabili  titoli di cultura e di arte, mostra in questa piazza il suo diploma ad attestare che  un po’ della sapienza, un po’ della forza e un po’ della bellezza trovano abitazione anche qui.

Grande sentenza di S. Agostino

IN DUBIIS LIBERTAS. Nel dubbio la libertà. Nelle cose opinabili accordiamo il criterio della libertà di pensiero e di azione.
IN NECESSARIIS UNITAS. Nelle necessità l’unità. Nella necessità occorre arrivare ad una unità di intenti.
IN OMNIBUS CHARITAS. Sempre l’amore. In ogni caso va applicato come criterio sicuro il valore dell’amore. 

La sentenza, ripartita nelle tre massime, va letta unitariamente e appartiene alla ineguagliabile penna di Sant’Agostino. Una sentenza così incisiva, così limpida e così profonda nel formulare un intero codice di comportamento (valido sia nella sfera individuale che in quella sociale), io non la conosco.
Valida nell’ambito familiare, come in quello politico e religioso. Molti errori ed orrori del passato non sarebbero stati commessi se avessimo osservato questa normativa: ostracismi ed emarginazioni, roghi e condanne, guerre e conflitti si sarebbero evitate, solo se avessimo applicato questa regola universale.
Questa sentenza figura sulla facciata del Seminario di San Miniato, ma credo che potrebbe essere riportata sui frontali e lungo le pareti dei Palazzi dei Congressi, dei Saloni di Conventions dei Partiti, della sede dell’ONU. A maggior ragione dove si raccoglie un Sinodo e si celebra un Concilio Ecumenico.

Estratto dal numero unico stampato in occasione dell’inizio pastorale del Vescovo Fausto Tardelli, il 30 Maggio 2004.

Un grande desktop per una piccola città

Chiunque, attraversato uno dei quattro ponti che serrano e aprono questa piazza, si trova davanti, tutto all’improvviso, un edificio, che, presentandosi come una pagina spiegata da oriente ad occidente, diventa monumento e documento. È la facciata del Seminario. È qui che la groppa del grande cammello accovacciato (la raffigurazione del colle sanminiatese rimanda a questa rappresentazione) mostra la sua variegata gualdrappa.
Qualunque visitatore si sente anche ospite, in quanto prova la gradevole impressione di sentirsi accolto e coinvolto dalla serie di immagini e dalla sequela di parole dispiegate intorno a lui. Ancora più sorprendente la sensazione che può sperimentare chi ha una certa dimestichezza col computer. Di fatto, anche senza rendersene conto, riconduce questa esperienza alla visione di un desktop che si apre davanti a lui.
Ad una osservazione più approfondita scopre in questa facciata gli elementi essenziali che costituiscono il sistema Windows: ci sono le icone date dai medaglioni ovali che qui racchiudono le figure allegoriche; ci sono altrettante finestre (Windows, appunto); infine ci sono i login, cioè le scritte ben definite nel carattere del romano epigrafico.
Tutto considerato, questa piazza potrebbe essere legittimamente sponsorizzata da Microsoft.

Estratto dal numero unico stampato in occasione dell’inizio pastorale del Vescovo Fausto Tardelli, il 30 Maggio 2004.

03 ottobre 2011

Lucciola, lucciola vien da me…

Giovanni, Leda, Flora, il Fiorini, Lido e Ademaro in tipografia
Lucciola, lucciola vien da me…” è il titolo della brochure che ha per autore Franco Palagini. Quaranta pagine in carta “rusticus” con un corredo di riproduzioni fotografiche in bianco e nero. Questa volta l’autore ne è anche lo stampatore, infatti l’opuscolo è stato dato alle stampe nell’aprile dell’anno corrente con i tipi dalla  storica tipografia Palagini. Da questo complesso artigianale sono uscite per decenni le copie del settimanale diocesano, le lettere pastorali di diversi Vescovi,  i programmi, i libri e i manifesti dell’Istituto del Dramma Popolare, due edizione artistiche delle Risorse di San Miniato e varie produzioni dell’Orcio d’Oro. Al banco del proto e a gomito dello stampatore si sono avvicendati scrittori, artisti e raffinati cultori della bella stampa. Era inevitabile che il virus della parola stampata passasse anche in Franco Palagini insieme all’effluvio degli inchiostri respirato fin dall’età prescolare.
C’è una frase nella pagina introduttiva che offre la chiave di interpretazione per quanto intende consegnare ai lettori Franco Palagini: “È come se una sera ci ritrovassimo a veglia a dar sfogo ai ricordi, così, come ci vengono alla mente”. Lucciola lucciola vien da me, viene da pensare alla notte di San Lorenzo dei sanminiatesi fratelli Taviani. Qui e altrove il racconto sembra cominciare dalla fiaba e nella fiaba riconfluire. Franco parla anche del lavoro in tipografia ma si sofferma nei ricordi, nelle rimembranze, nelle rappresentazioni di figure che hanno deciso di lasciare traccia di sé e ora con tenerezza riaffiorano con i loro volti con le loro parole e perfino con i loro gesti. Si tratta di persone che appartengono alla sfera degli affetti familiari: il padre, la madre e i nonni, gente legata col vincolo del sangue e dell’amicizia; ma anche altri personaggi che furono le icone minori, ma non per questo trascurabili, della nostra San Miniato. Ecco come l’autore fa rivivere e quasi rianimare la piazza del Seminario.
“Forse è meglio che descriva la piazza del Seminario, dove si sono svolti la maggior parte di questi avvenimenti: è un piazza rettangolare attraversata da parte  a parte da una strada lastricata; dalla parte della strada si innalzano tre scalinate di diversa forma e altezza che portano alla piazza del Duomo; dall’altra parte della strada c’è il Palazzo del Seminario Vescovile con la facciata riccamente affrescata con figure allegoriche e scritte in latino, mentre al piano terra nel periodo di cui parlo, gli anni ’40 e ’50, c’erano le botteghe artigiane che davano vita a tutta la piazza. Cominciando da sinistra, c’era lo spaccio delle ACLI che vendevano a prezzo conveniente i prodotti che gli Stati Uniti mandavano per aiutare le popolazioni dopo la guerra; accanto c’era Goro, il sarto che cuciva per i preti ed aveva un figlio anche lui in Seminario; dopo le scale c’era l’arrotino Moscatelli, poi gli stagnini Renzo e Aldo e ancora la tipografia di babbo e accanto lo stanzino dove dormiva Memo, un uomo che veniva da Carrara per lavorare dal marmista; in un'altra bottega lavorava lo stagnino Gigione, marito di Mariona, che accomodava solo i tegami e le pentole sfondate mentre lei, assieme ai Luglioli, andava a suonare le campane del Duomo. Poi Ettore il calzolaio e, dulcis in fundo, le casse da morto di Pietrone che però vendeva anche i mobili per la casa. Lungo la strada c’era il negozio di Culino che assieme al fratello cieco vendeva le stoffe al metraggio; Tosca invece vendeva i piatti accanto al laboratorio di marmista del marito, Mario, che era venuta da Firenze per fare il cameriere al vescovo Giubbi.
Custodi del seminario e portieri erano due tipi curiosi: Eugenio e Lancillotto. Eugenio dava da mangiare ai piccioni tanto che bastava che uscisse dalla porta perché ne arrivassero a decine. Lancillotto era piccolino e camminava saltellando, ogni tanto si vedeva partire con la valigia e diceva che andava a trovare i parenti a Empoli. Nelle belle sere di primavera e estate si vedevano lunghe file di seminaristi che andavano a fare passeggiate ristoratrici dopo il giorno di studio.
Ora tutto questo non c’è più, i seminaristi sono finiti, le botteghe chiuse e di queste è rimasto solo il disegno in pietra dell’ingresso a L o a T come nel Medioevo. Le voci e la vita che c’erano allora non si possono ricreare fra i due archi che proteggono la privacy della piazza. Solo lo strillare delle rondini che si rincorrono nelle sere d’estate riesce a ravvivarla un po’.”

Luciano Marrucci