03 ottobre 2011

Lucciola, lucciola vien da me…

Giovanni, Leda, Flora, il Fiorini, Lido e Ademaro in tipografia
Lucciola, lucciola vien da me…” è il titolo della brochure che ha per autore Franco Palagini. Quaranta pagine in carta “rusticus” con un corredo di riproduzioni fotografiche in bianco e nero. Questa volta l’autore ne è anche lo stampatore, infatti l’opuscolo è stato dato alle stampe nell’aprile dell’anno corrente con i tipi dalla  storica tipografia Palagini. Da questo complesso artigianale sono uscite per decenni le copie del settimanale diocesano, le lettere pastorali di diversi Vescovi,  i programmi, i libri e i manifesti dell’Istituto del Dramma Popolare, due edizione artistiche delle Risorse di San Miniato e varie produzioni dell’Orcio d’Oro. Al banco del proto e a gomito dello stampatore si sono avvicendati scrittori, artisti e raffinati cultori della bella stampa. Era inevitabile che il virus della parola stampata passasse anche in Franco Palagini insieme all’effluvio degli inchiostri respirato fin dall’età prescolare.
C’è una frase nella pagina introduttiva che offre la chiave di interpretazione per quanto intende consegnare ai lettori Franco Palagini: “È come se una sera ci ritrovassimo a veglia a dar sfogo ai ricordi, così, come ci vengono alla mente”. Lucciola lucciola vien da me, viene da pensare alla notte di San Lorenzo dei sanminiatesi fratelli Taviani. Qui e altrove il racconto sembra cominciare dalla fiaba e nella fiaba riconfluire. Franco parla anche del lavoro in tipografia ma si sofferma nei ricordi, nelle rimembranze, nelle rappresentazioni di figure che hanno deciso di lasciare traccia di sé e ora con tenerezza riaffiorano con i loro volti con le loro parole e perfino con i loro gesti. Si tratta di persone che appartengono alla sfera degli affetti familiari: il padre, la madre e i nonni, gente legata col vincolo del sangue e dell’amicizia; ma anche altri personaggi che furono le icone minori, ma non per questo trascurabili, della nostra San Miniato. Ecco come l’autore fa rivivere e quasi rianimare la piazza del Seminario.
“Forse è meglio che descriva la piazza del Seminario, dove si sono svolti la maggior parte di questi avvenimenti: è un piazza rettangolare attraversata da parte  a parte da una strada lastricata; dalla parte della strada si innalzano tre scalinate di diversa forma e altezza che portano alla piazza del Duomo; dall’altra parte della strada c’è il Palazzo del Seminario Vescovile con la facciata riccamente affrescata con figure allegoriche e scritte in latino, mentre al piano terra nel periodo di cui parlo, gli anni ’40 e ’50, c’erano le botteghe artigiane che davano vita a tutta la piazza. Cominciando da sinistra, c’era lo spaccio delle ACLI che vendevano a prezzo conveniente i prodotti che gli Stati Uniti mandavano per aiutare le popolazioni dopo la guerra; accanto c’era Goro, il sarto che cuciva per i preti ed aveva un figlio anche lui in Seminario; dopo le scale c’era l’arrotino Moscatelli, poi gli stagnini Renzo e Aldo e ancora la tipografia di babbo e accanto lo stanzino dove dormiva Memo, un uomo che veniva da Carrara per lavorare dal marmista; in un'altra bottega lavorava lo stagnino Gigione, marito di Mariona, che accomodava solo i tegami e le pentole sfondate mentre lei, assieme ai Luglioli, andava a suonare le campane del Duomo. Poi Ettore il calzolaio e, dulcis in fundo, le casse da morto di Pietrone che però vendeva anche i mobili per la casa. Lungo la strada c’era il negozio di Culino che assieme al fratello cieco vendeva le stoffe al metraggio; Tosca invece vendeva i piatti accanto al laboratorio di marmista del marito, Mario, che era venuta da Firenze per fare il cameriere al vescovo Giubbi.
Custodi del seminario e portieri erano due tipi curiosi: Eugenio e Lancillotto. Eugenio dava da mangiare ai piccioni tanto che bastava che uscisse dalla porta perché ne arrivassero a decine. Lancillotto era piccolino e camminava saltellando, ogni tanto si vedeva partire con la valigia e diceva che andava a trovare i parenti a Empoli. Nelle belle sere di primavera e estate si vedevano lunghe file di seminaristi che andavano a fare passeggiate ristoratrici dopo il giorno di studio.
Ora tutto questo non c’è più, i seminaristi sono finiti, le botteghe chiuse e di queste è rimasto solo il disegno in pietra dell’ingresso a L o a T come nel Medioevo. Le voci e la vita che c’erano allora non si possono ricreare fra i due archi che proteggono la privacy della piazza. Solo lo strillare delle rondini che si rincorrono nelle sere d’estate riesce a ravvivarla un po’.”

Luciano Marrucci

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Gli artigiani presenti in piazza del Seminario si riferiscono a quelli dopo il passaggio della guerra, prima erano alcuni di questi ed altri, ma anche fra questi ci sono rammentati personaggi non esattamente denominati:il servo del seminario si chiamava Lanciotto, e chi era Goro che faceva i vestiti ai preti? Ed il ciabattino non era il Proietti detto il Romanino. E siccome comprende il racconto anche gli anni 40 allora c'era anche Beppina di Del Bravo ci si giocava all'otto e Maso il decoratore?

Anonimo ha detto...

Caro Anonimo,
anch'io ti rispondo anonimamente, sia pure dopo aver avuto i dovuti ragguagli.
Lanciotto, invece di Lancillotto; quest'errore è dovuto proprio alla dattilografa che ha digitato il testo; nel libro del Palagini è scritto come dici tu.
Goro: a quanto mi è stato detto, Goro sarebbe proprio il padre di Giuseppe Chelli, diplomato a San Miniato come maestro elementare.
Quello che tu chiami ciabattino e che identifichi con il "Romanino" è, invece, il calzolaio Ermelani, padre di Fiorenzo Ermelani.
Certamente i personaggi di San Miniato (pensa che anche Franco Giannoni ne ha illustrati soltanto dieci) sono molti di più di quelli menzionati; basti pensare a persone anche estrose come "Polpino" e "Tonino d'Meli". Comunque ti consiglio di passare dal Palagini e di ritirare una copia.

Anonimo ha detto...

Allora: Lo spaccio dell'ACLI lo gestiva Fiorenzo Ermelani il cui padre lavorava da calzolaio nella casa detta il Vaticano. Lì c'è stato solo il calzolaio Arturo Proietti, detto il Romanino. Quando si trasferì in via Battisti la bottega la prese Gigi lo stagnino.Prima della Tipografia Palagini il negozio era occupato da Orfeo di Marchionne la cui sorella Margherita era brava a mettere il cordoncino alle asole delle tonache. Culino oltre alla bottega di pannine sulla strada aveva in piazza la bottega in cui rifoderava poltrone e divani.Piero il sarto aveva la bottega a due ante tra il Romanino e Beppina del Bravo che gestiva la ricevitoria del lotto.Chiudeva Vasco l'operaio di Pietrone E l'ultimo sporto era della stanza delle casse da morto.
Beppe Chelli
Mi qualifico anonimo perchè non sono pratico di inserire i caratteri non perchè mi voglia nascondere. Ma dove hai trovato che Goro era mio padre:se le tue notizie sono di questo tipo c'è da star lusti come voler mischiare tutti i tipi di San Miniato con gli artigiani di Piazza Seminario, come mi pare abbia voluto fare il Palagini C'era un prete che quello che sapeva lo diceva , quello che non sapeva lo inventava ( per non rimanere a bocca chiusa, che poi sarebbe stato meglio ! )