26 novembre 2010

Non se la sentì

Si tratta del grande Papa Leone Magno. Pare che nel giorno di Natale, quando ormai era parato per
celebrate la Messa, gli vennero a dire che a Roma era morto uno di fame.
Lentamente cominciò a deporre i paramenti.
- Ma che fate, Padre? C’è tutta la gente che aspetta questa Messa!
- Oggi non me la sento - rispose il Papa - se non siamo stati capaci di spezzare il pane terreno ed uno
fra noi è morto per questo, allora non è giusto nemmeno spezzare il pane celeste.

25 novembre 2010

Un frutto curioso

Precedentemente in questo blog avevo riportato una serie di ciliegie, col sottinteso che una ciliegia tira l'altra, trattandosi di un frutto fuori stagione, avevo annotato semplicemente che queste ciliegie provenivano da un altro emisfero.
A questo punto ho deciso di connotare le mie Storielle minime con l'immagine delle Sorbe (questa volta, frutti di stagione), per le quali esiste un proverbio toscano che sembra un invito ad una paziente riflessione:
Col tempo e con la paglia maturano le sorbe

La sorba è un frutto di un albero di bosco, ne esistono molte varietà; alcune sono rotonde, altre sono fatte a pera, naturalmente in dimensioni molto ridotte.
La sorba è molto acidula e praticamente immangiabile prima di un appassimento nella paglia.
E' fortemente astringente e, al tempo stesso, molto diuretica. Viene impiegata e apprezzata in marmellate e bibite alcoliche.

La pietra nel campo

Fu trovata in un campo una pietra grossa grossa. C’era della gente intorno a discutere sul modo migliore di smuoverla. Qualcuno diceva che bisognava sbriciolarla con la dinamite. Altri dicevano che si poteva tentare di spingerla a braccia. I più consigliavano di lasciarla stare, dato che ormai c’era.
Un passante, che si era fermato ad ascoltare, prese una ghianda e la seppellì vicino.
Col passare degli anni una grande quercia prese il posto della grossa pietra.

23 novembre 2010

Quell'uom di moltiforme ingegno

Non c'è da invocare la musa ispiratrice per definire il Mannari " Quell'uom di multiforme ingegno"; così è detto Ulisse nel prologo dell'Eneide di Virgilio, tradotta da Annibal Caro.
Abbiamo ormai ridefinito il concetto di cultura. Cultura non è solo conocenza di lingue, saper organizzare nozioni riconducendo ad unità la molteplicità dei dati appresi; cultura è guardare il cielo e capire che tempo farà, è anche seminare, raccogliere secondo le fasi lunari, cultura è anche l'arte della caccia e della pesca, è saper cucinare secondo una ricetta che ti è stata trasmessa.
Dovevo annoiarvi un po' con questa premessa perché volevo spiergarvi come don Lelio, uomo di cultura, esercitava le attitudini intelletuali finalizzandole anche ad un risultato pratico.
Quando entrava in una canonica, qualunque canonica, tornava ad impadronirsi dell'archivio, ogni tanto sbottava in una bella risata, o usciva in qualche esclamazione di meraviglia: segno che leggendo le memorie di qualche parroco aveva scoperto qualcosa d'interessante. O di divertente.
Dentro e fuori della chiesam iscrizioni, sentenze ed epitaffii erano il suo pane. Se si trovava lì per qualche ciclo di prediche metteva a lucido gli argenti della sacrestia e i rami della cucina. Solo per discrezione non chideva un grembiale come uno che sa stare ai fornelli ( cosa che avrebbe fatto volentieri ).
Sapeva fare la maglia e perfino la trina. Perfetto ortolano, negli orti di Crespina e di Santa Maria a Monte usava la vanga a due puntate ( quasi un mezzo scasso) e sorprendeva tutti per gli ortaggi che tirava fuori.
Per diversi anni io ero invitato a cena a Crespina per una mangiata di fegatelli preparati da lui; era tutto speciale: il cibo, il vino e quel nostro discorrere sulle cose e sulle parole che non aveva mai fine. Pernottavo in canonica, ma di buon mattino io dovevo partire alla volta del Seminario dove mi aspettavano i miei alunni. Una volta, in sella al mio Lambrettone, ero sgomento nel vedere la strada tutta ghiacciata. Faceca un freddo cane. Lui venne con una cosa in mano. Era un copricapo con due falde laterali. Mi disse: "Questo lo fatto io secondo una vecchia usanza. E' un camauro come quello che portano i Cardinali; mettitelo, tu vedrai come ti protegge gli orecchi."
Quel copricapo a me sembrò piuttosto la cuffia di Nuvalori. Nel vedermi arrivare i Seminaristi
si divertirono un po', ma anche loro pensarono a Nuvolari. Che tempi!

12 novembre 2010

Fiaba quasi politica

Un uomo, che voleva fare un manico per la sua scure, andò in un boschetto in cerca del legno più adatto. Tutti gli alberi intorno incominciarono a dirgli: « Se vuoi un ramo davvero forte prendi un ramo dall’olivastro ». L’uomo prese un ramo dall’ olivastro e ci fece un bel manico.
Dopo averlo infilato nella scure, si mise a tagliare tutti gli alberi che 1’avevano consigliato a scegliere il manico.

Fiaba più che politica

Un tempo il cavallo doveva vedersela col cervo, che, avendo le corna, aveva quasi sempre la meglio.
Allora il cavallo si presentò all’ uomo e gli disse: « Sali sulla mia groppa e aiutami a superare il mio avversario ».
Il cavallo con l’aiuto dell’uomo riuscì a cacciare il cervo nelle selve. «Abbiamo vinto;
- disse all’uomo - ora puoi scendere ».
« Non ci penso nemmeno! - rispose l’uomo- D’ora in avanti tu sarai il cavallo, io il cavaliere».

04 novembre 2010

Chi lo rinnoverà

Quando, una sessantina d'anni fa, fu fatto un nuovo cimitero a Pino, tutti si facevano una do-manda in cui, più che curiosità, c'era un bri-vido di paura. Chi lo rinnoverà? Si chiedevano quel vec-chietti che se ne stavano a fumare la pipa al so-licchio di primavera. Chi lo rinnoverà? Si domandavano le vecchiette che si trattenevano in Chiesa dopo le funzioni tra le nebbioline turchine dell'incenso. Successe che morì per primo un bambino piccino piccino. Quando moriva un angiolino, le ragazze lo portavano al camposanto in una bara bianca. E fu così. Nessuno avrebbe pensato che a rinnovare il cimitero dovesse toccare a questa creaturina che usciva di casa per la prima volta e per andare laggiù.

Il fatto continua

Tutti ora si facevano un'altra domanda; Che ci farà questo bambino solo solo in un cimitero tutto per lui? Un poeta che viveva in una bella villa sul poggio scese una notte per vedere…
S'accorse di una cosa: su un albero, quello stesso che di giorno copriva con la sua ombra la tomba del bambino, un uccellino gli faceva compagnia cantando per ore e ore tutta la notte. Ritornò a casa tutto contento: il bambino non era solo.

Elogio della Sapienza

Questo brano è tratto dal libro della Sapienza [8, 2-21].
L'elogio della Sapienza si traduce nell'elogio anche di chi la possiede.

Questa (Sapienza) ho amato e ricercato fin dalla mia giovinezza,
ho cercato di prendermela come sposa,
mi sono innamorato della sua bellezza.
Essa manifesta la sua nobiltà,
in comunione di vita con Dio,
perché il Signore dell’universo l’ha amata.
Essa infatti è iniziata alla scienza di Dio
e sceglie le opere sue.
Se la ricchezza è un bene desiderabile in vita,
quale ricchezza è più grande della sapienza,
la quale tutto produce?
Se l’intelligenza opera,chi, tra gli esseri, è più artefice di essa?
Se uno ama la giustizia,
le virtù sono il frutto delle sue fatiche.
Essa insegna infatti la temperanza e la prudenza,
la giustizia e la fortezza,
delle quali nulla è più utile agli uomini nella vita.

Se uno desidera anche un’esperienza molteplice,
essa conosce le cose passate e intravede le future,
conosce le sottigliezze dei discorsi
e le soluzioni degli enigmi,
pronostica segni e portenti,
come anche le vicende dei tempi e delle epoche.
Ho dunque deciso di prenderla
a compagna della mia vita,
sapendo che mi sarà consigliera di bene
e conforto nelle preoccupazioni e nel dolore.
Per essa avrò gloria fra le folle
e, anche se giovane, onore presso gli anziani.
Sarò trovato acuto in giudizio,
sarò ammirato di fronte ai potenti.
Se tacerò, resteranno in attesa;
se parlerò, mi presteranno attenzione;
se prolungherò il discorso,
si porranno la mano sulla bocca.
Per essa otterrò l’immortalità
e lascerò un ricordo eterno ai miei successori.
Governerò i popoli e le nazioni mi saranno soggette;
sentendo il mio nome sovrani terribili mi temeranno,
tra il popolo apparirò buono e in guerra coraggioso.

Ritornato a casa , riposerò vicino a lei,
perché la sua compagnia non dà amarezza,
né dolore la sua convivenza,
ma contentezza e gioia.
Riflettendo su tali cose in me stesso
e pensando in cuor mio
che nell’unione con la sapienza c’è l’immortalità
e nella sua amicizia grande godimento
e nel lavoro delle sue mani una ricchezza inesauribile
e nell’assiduità del rapporto con essa prudenza
e nella partecipazione ai suoi discorsi fama,
andavo cercando come prenderla con me.
Ero un fanciullo di nobile indole,
avevo avuto in sorte un’anima buona
o piuttosto, essendo buono,
ero entrato in un corpo senza macchia.
Sapendo che non l’avrei altrimenti ottenuta,
se Dio non me l’avesse concessa,
– Ed era proprio dell’intelligenza
Sapere da chi viene tale dono –
Mi rivolsi al Signore e lo pregai.