23 novembre 2010

Quell'uom di moltiforme ingegno

Non c'è da invocare la musa ispiratrice per definire il Mannari " Quell'uom di multiforme ingegno"; così è detto Ulisse nel prologo dell'Eneide di Virgilio, tradotta da Annibal Caro.
Abbiamo ormai ridefinito il concetto di cultura. Cultura non è solo conocenza di lingue, saper organizzare nozioni riconducendo ad unità la molteplicità dei dati appresi; cultura è guardare il cielo e capire che tempo farà, è anche seminare, raccogliere secondo le fasi lunari, cultura è anche l'arte della caccia e della pesca, è saper cucinare secondo una ricetta che ti è stata trasmessa.
Dovevo annoiarvi un po' con questa premessa perché volevo spiergarvi come don Lelio, uomo di cultura, esercitava le attitudini intelletuali finalizzandole anche ad un risultato pratico.
Quando entrava in una canonica, qualunque canonica, tornava ad impadronirsi dell'archivio, ogni tanto sbottava in una bella risata, o usciva in qualche esclamazione di meraviglia: segno che leggendo le memorie di qualche parroco aveva scoperto qualcosa d'interessante. O di divertente.
Dentro e fuori della chiesam iscrizioni, sentenze ed epitaffii erano il suo pane. Se si trovava lì per qualche ciclo di prediche metteva a lucido gli argenti della sacrestia e i rami della cucina. Solo per discrezione non chideva un grembiale come uno che sa stare ai fornelli ( cosa che avrebbe fatto volentieri ).
Sapeva fare la maglia e perfino la trina. Perfetto ortolano, negli orti di Crespina e di Santa Maria a Monte usava la vanga a due puntate ( quasi un mezzo scasso) e sorprendeva tutti per gli ortaggi che tirava fuori.
Per diversi anni io ero invitato a cena a Crespina per una mangiata di fegatelli preparati da lui; era tutto speciale: il cibo, il vino e quel nostro discorrere sulle cose e sulle parole che non aveva mai fine. Pernottavo in canonica, ma di buon mattino io dovevo partire alla volta del Seminario dove mi aspettavano i miei alunni. Una volta, in sella al mio Lambrettone, ero sgomento nel vedere la strada tutta ghiacciata. Faceca un freddo cane. Lui venne con una cosa in mano. Era un copricapo con due falde laterali. Mi disse: "Questo lo fatto io secondo una vecchia usanza. E' un camauro come quello che portano i Cardinali; mettitelo, tu vedrai come ti protegge gli orecchi."
Quel copricapo a me sembrò piuttosto la cuffia di Nuvalori. Nel vedermi arrivare i Seminaristi
si divertirono un po', ma anche loro pensarono a Nuvolari. Che tempi!

Nessun commento: