27 settembre 2010

Mannari: popolano o accademico?

Era tutti e due insieme.
I suoi studi e le sue frequentazioni gli consentivano di posizionarsi in tutti gli ambienti. Sapeva come parlare al popolo e alle persone colte. Io dico che senza essere vanesio, voleva essere sempre convincente. Vincente, soprattutto; e su questo non gli risparmiavo qualche rimprovero; però riconosco che era bravo, troppo bravo.
Erano tempi, per il clima politico in cui si viveva, che gli insulti imperversavano più dei ragionamenti. Un uomo gli disse: "Figlio d'un cane!". Don Mannari gli rispose con una parola sola pronunciata con la tenerezza di un figlio affezionato: "Babbo!". L'avversario dovette concludere che se lì c'era un cane, il cane era proprio lui.
Se uno insisteva troppo per avere la ragione, don Lelio diceva: "Non posso darti ragione, sennò, il cogli...e sarei io". La forza del discorso stava, non tanto nella parolaccia (l'ho detto che lui non rinunciava al linguaggio del popolo), quanto nell'impiego maligno del condizionale. Come dire: siccome l'ipotesi di essere un cogli...e non vale per me, vale proprio per te!
Mannari era quello che quando si trovava infermo in ospedale i medici facevano cerchio intorno al suo letto, ma non per un consulto; semplicemente per il diletto di sentire le sue parole che erano una cascata di ghisa e di miele.
Ricordo che ad un pranzo importante in Seminario, presente tutto il collegio degli insegnanti, lui si alzò e parlò; fu succulento come una portata d'arista, tonico e gustoso come un chianti di tre anni.
Mi era accanto il Professor Viviani, mio amico e docente di Storia di Filosofia nel nostro Seminario, che alla fine del discorso mi sussurrò: spero che non provi invidia, don Marrucci, ma non mi era capitato mai di ascoltare un prete così.

23 settembre 2010

San Miniato al Tedesco


In questi due mesi mi sono proposto e, naturalmente, esposto nella vetrina di Facebook. Ho trovato tanta gente che mi ha coinvolto in questo strano (per lo più gasato e a volte languido) circuito [ma in tutti i casi da non giudicare negativo perché di fatto ti dà la possibilità di dilatare la sfera delle conoscenze]; ebbene, lì, ad un certo punto è stata avanzata una denominazione di San Miniato che non mi è mai andata giù: San Miniato “al Tedesco”. Io ho preso posizione e ho inserito due brevi post che qui riporto; e ho inteso corredarli con due immagini scattate con la Laika di Barzacchi e con qualche nota di commento.


San Miniato al Tedesco. Non mi è mai piaciuto. Per una ragione storica [Leggere il dibattito tra Alessio Alessi e Dilvo Lotti di diversi anni fa che io sottoscrivo in pieno].

Ed ancora più per una ragione personale.


Io non so cosa io abbia fatto ai Tedeschi. Ma so quello che loro hanno fatto a me. Hanno minato la casa dove sono nato e dove ho trascorso la mia infanzia. E hanno minato anche quella dove ho trascorso la mia adolescenza. Non che io rinneghi la stagione che ho trascorso nelle case popolari: ma a chiunque non condivide la mia posizione augurerei di passare attraverso questa esperienza.



Foto di macerie in via Rondoni. E’ qui che la casa della mia infanzia fu rasa al suolo.


A 18 anni composi dei versi sull'aria di una canzone. Ora ricordo soltanto una strofa e il ritornello:


Colpito il seminario

Crollò la cappelletta delle suore

Dove morì il povero Angiolino

Con gli occhi aperti ed una mano al cuore


Rit.

Allora anch’io

Dissi cos’è del paesello mio

Cercai tra le macerie fumicanti

Udivo intorno acerbi gridi e pianti

Dovetti lacrimar


Questa foto presenta le macerie anche della casa in cui ho trascorso la mia adolescenza. Fu un addio non solo alla mia casa, ma anche agli amici del casamento.


Noi capivamo con troppa chiarezza che qualcosa finiva davvero: col chiudersi di un’epoca non vedevamo che seguito avrebbe avuto quella che sarebbe subentrata. Senza casa, con un passato distrutto, ci sentimmo anche senza futuro perché l’evento di allora ci avrebbe divisi e come dispersi, noi, che essendo cresciuti insieme, non potevamo nemmeno immaginare come potessimo vivere separati.


Vedi Luciano Marrucci, “San Miniato Minato” in Come tacevano le cicale in quella estate del 1944, Edizioni Orcio d’Oro, San Miniato, 1994, pag. 29.

14 settembre 2010

Mannari filologo.

Don Lelio Mannari capì anche prima di don Milani quanta forza può avere la parola conosciuta nella sua radice. " Non vuoi più essere servo del tuo padrone? Lo sarai quando saprai una parola più di lui!". Ma da quale arsenale traeva le sue armi? E come forbiva le sue parole? Le dotte letture, le epigrafi che erano per lui parole sulla pietra, il contatto con la gente del popolo dalla parolaccia facile e dall'espressione toscanamente forte erano le prime fonti. Parecchio gli veniva dalla frequentazione assidua dell'archivio della Diocesi di Lucca, che a detta degli studiosi, registra più di ogni altro quel magico passaggio dalla lingua dei dotti, che era il latino, alla lingua volgare, parlata dal popolo della nostra Toscana. Mi disse una volta: Pensa, in un manoscritto antico ho trovato questa espressione: In temporibus hodiernis seu modernis. Tra hodiernis e modernis è annunziato il passaggio dalla lingua latina alla lingua italiana: il latino qui si arrende al linguaggio parlato e tuttavia lascia traccia di sé nella nuova parola perché moderno deriva da modo che in latino significa ora.

In hoc non laudo 2.

Lo confesso, anch'io posso cedere alla tentazione di proporre la mia immagine sullo specchio che Satana sembra avvicinarmi. E me ne accuso in confessione come uno che ha tentato di anteporre la propria figura a quella di Cristo: ho fatto schermo a Lui ogni volta che ho portato avanti il mio maledetto Ego.
Ciò detto, e in nome della verità che ci rende liberi, chiarirò l'impressione che riporto di fronte a certe riprese televisive. Succede un evento, a volte doloroso, a volte tragico, che ha coinvolto l'opinione pubblica. Ed ecco che compare il grande prelato. E' chiaro che qualcuno deve officiare...
Ma non sarà il parroco sconosciuto di quella parrocchia. E' come gli dicessero: Fatti più in là; questa è una cosa che compete a me!
Un personaggio di grande profilo nel campo della finanza, muore suicida. Il Diritto Caninoco ammonisce che in casi del genere non si può procedere a funerali solenni.
Ed ecco che compare il solito Cardinale per dire cosa? Per dire che proprio quel personaggio era amico suo e che lui stesso era amico di quel personaggio. Esequie lacrimogene!
Muore un soldato in Iraq [e ti stupisci? Siamo tutti noi che ce l'abbiamo mandato]: Ebbene quel soldato nel discorso che viene fatto diventa un martire. Ma che ne sai se lui ha effuso il suo sangue per Cristo?
Viene riportata la salma di un mercenario; se si sta attenti a quello che viene detto in Chiesa, quest'uomo è un eroe. Tra eroe e mercenario, per me c'è differenza.

Publio Virgilio Marone.

I miei versi sono come i cuccioli dell'orsa. Nascono brutti, ma lei, a forza di leccarli, li rende belli.
Publio Virgilio Marone.

13 settembre 2010

In hoc non laudo.

In hoc non laudo.
In questo non posso lodarvi.

Così conclude Sant'Agostino una allocuzione rivolta alla comunità di Ippona. Egli rileva nei suoi fedeli un comportamento che gli sembra difforme dai dettami evangelici e così concludé:"Debbo lodarvi? No! Qui non posso lodarvi!"
Ora c'è da farci un'altra domanda: Può un semplice presbitero rilevare in un vescovo quello che egli giudica in contrasto con lo spirito del vangelo e che sporge dalle direttive della stessa Chiesa? Io dico di sì, se l'errore è pubblico, cioè divulgato, e se questo può proporsi come esempio da imitare da parte di chi è stato partecipe testimone.
Dico di sì e vengo al fatto. Un vescovo di una cittadina della bassa Italia, in occasione delle esequie solenni celebrate per la morte di un sindaco, in mezzo alla'altare piglia un foglio in mano e legge quella che a me è sembrata una protesta ed anche una denuncia contro la belva umana che si è macchiata del sangue di un innocente.
Fa anche delle congetture di come potrebbero essere andate le cose. Suppongo che i carabinieri, i quali dicono che i preti sanno sempre tutto, abbiano preso nota, Anche se, questo va detto, la sua convinzione concorda con quanto scrivono i giornaliegli non avrebbe dovuta esprimere in quel momento e luogo.
Ma come? Ai poveri, ossequenti parroci di campagna arrivano da Roma severe ed inflessibili regole liturgiche:
  • Nelle messe esequiali l'omelia deve rimanere commneto del brano biblico;
  • non c'è posto per l'elogio funebre che inveve può aver luogo in fondo alla Messa;
  • l'ambone non è una tribuna in cui chiunque può esternare quello che vuole;
  • nessuno spazio anche nelle preghiere dei fedeli ad interventi estemporanei e talvolta anche isterici di chi vuole dare clamore al proprio stato d'animo.
Questo invece è dato di vedere in diverse trasmissioni televisive.

In hoc non laudo!