27 settembre 2010

Mannari: popolano o accademico?

Era tutti e due insieme.
I suoi studi e le sue frequentazioni gli consentivano di posizionarsi in tutti gli ambienti. Sapeva come parlare al popolo e alle persone colte. Io dico che senza essere vanesio, voleva essere sempre convincente. Vincente, soprattutto; e su questo non gli risparmiavo qualche rimprovero; però riconosco che era bravo, troppo bravo.
Erano tempi, per il clima politico in cui si viveva, che gli insulti imperversavano più dei ragionamenti. Un uomo gli disse: "Figlio d'un cane!". Don Mannari gli rispose con una parola sola pronunciata con la tenerezza di un figlio affezionato: "Babbo!". L'avversario dovette concludere che se lì c'era un cane, il cane era proprio lui.
Se uno insisteva troppo per avere la ragione, don Lelio diceva: "Non posso darti ragione, sennò, il cogli...e sarei io". La forza del discorso stava, non tanto nella parolaccia (l'ho detto che lui non rinunciava al linguaggio del popolo), quanto nell'impiego maligno del condizionale. Come dire: siccome l'ipotesi di essere un cogli...e non vale per me, vale proprio per te!
Mannari era quello che quando si trovava infermo in ospedale i medici facevano cerchio intorno al suo letto, ma non per un consulto; semplicemente per il diletto di sentire le sue parole che erano una cascata di ghisa e di miele.
Ricordo che ad un pranzo importante in Seminario, presente tutto il collegio degli insegnanti, lui si alzò e parlò; fu succulento come una portata d'arista, tonico e gustoso come un chianti di tre anni.
Mi era accanto il Professor Viviani, mio amico e docente di Storia di Filosofia nel nostro Seminario, che alla fine del discorso mi sussurrò: spero che non provi invidia, don Marrucci, ma non mi era capitato mai di ascoltare un prete così.

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