23 settembre 2010

San Miniato al Tedesco


In questi due mesi mi sono proposto e, naturalmente, esposto nella vetrina di Facebook. Ho trovato tanta gente che mi ha coinvolto in questo strano (per lo più gasato e a volte languido) circuito [ma in tutti i casi da non giudicare negativo perché di fatto ti dà la possibilità di dilatare la sfera delle conoscenze]; ebbene, lì, ad un certo punto è stata avanzata una denominazione di San Miniato che non mi è mai andata giù: San Miniato “al Tedesco”. Io ho preso posizione e ho inserito due brevi post che qui riporto; e ho inteso corredarli con due immagini scattate con la Laika di Barzacchi e con qualche nota di commento.


San Miniato al Tedesco. Non mi è mai piaciuto. Per una ragione storica [Leggere il dibattito tra Alessio Alessi e Dilvo Lotti di diversi anni fa che io sottoscrivo in pieno].

Ed ancora più per una ragione personale.


Io non so cosa io abbia fatto ai Tedeschi. Ma so quello che loro hanno fatto a me. Hanno minato la casa dove sono nato e dove ho trascorso la mia infanzia. E hanno minato anche quella dove ho trascorso la mia adolescenza. Non che io rinneghi la stagione che ho trascorso nelle case popolari: ma a chiunque non condivide la mia posizione augurerei di passare attraverso questa esperienza.



Foto di macerie in via Rondoni. E’ qui che la casa della mia infanzia fu rasa al suolo.


A 18 anni composi dei versi sull'aria di una canzone. Ora ricordo soltanto una strofa e il ritornello:


Colpito il seminario

Crollò la cappelletta delle suore

Dove morì il povero Angiolino

Con gli occhi aperti ed una mano al cuore


Rit.

Allora anch’io

Dissi cos’è del paesello mio

Cercai tra le macerie fumicanti

Udivo intorno acerbi gridi e pianti

Dovetti lacrimar


Questa foto presenta le macerie anche della casa in cui ho trascorso la mia adolescenza. Fu un addio non solo alla mia casa, ma anche agli amici del casamento.


Noi capivamo con troppa chiarezza che qualcosa finiva davvero: col chiudersi di un’epoca non vedevamo che seguito avrebbe avuto quella che sarebbe subentrata. Senza casa, con un passato distrutto, ci sentimmo anche senza futuro perché l’evento di allora ci avrebbe divisi e come dispersi, noi, che essendo cresciuti insieme, non potevamo nemmeno immaginare come potessimo vivere separati.


Vedi Luciano Marrucci, “San Miniato Minato” in Come tacevano le cicale in quella estate del 1944, Edizioni Orcio d’Oro, San Miniato, 1994, pag. 29.

1 commento:

aurelio cupelli ha detto...

Il confronto con la Storia, è sempre stato, per me, un tema molto affascinante.
Sul fatto di chiamare o meno "al Tedesco" San Miniato, appartiene a quel mondo a parte, che si intreccia con la Storia, che si chiama toponomastica.
I motivi del suffisso "al Tedesco" appartengono alla Storia, come i motivi che ne hanno portato alla sua cancellazione, almeno sulle cartine geografiche, come sui documenti amministrativi.
Quelle bombe del luglio del '44, allo stesso modo da considerare, sia la bomba esplosa in Duomo, sia quelle che hanno demolito gran parte dei palazzi cittadini, hanno il sapore del tradimento.
Un'unione, un matrimonio nato nel profondo del passato, cancellato dall'irresponsabilità e dalla follia del tradimento. Se poi ad aver tradito fu l'Italia, come nazione intera, con l'8 settembre, o la Germania che distrusse, come nella ceca rabbia della gelosia e del rancore, la città chiamata "al Tedesco", dipende dall'oggettività della Storia stessa.
Anche a me l'affisso "al Tedesco" non mi ha mai detto un granché, ma tempo fa mi resi conto perché.
Trovandomi a Marsala, nel maggio scorso, incontrai un signore che, per chiarire le sue origini disse: —Sono di San Miniato al Tedesco—, lo raccontai anche nel mio blog.
Capii che era un fatto di identità. Io, anche se abito qui, sono di Amandola. Il signore, che si trovava a più di mille chilometri dalle sue origini, lasciate peraltro negli anni '60, quando già "al Tedesco" era stato cancellato dalla Storia, quel "al Tedesco" lo considerava come un segno delle sue origini.