10 giugno 2011

Lettera a Margherita Hack - 8° e ultima puntata

Toscana Oggi - 12/06/2011 - Pag. 18


Chiarissima e carissima Margherita Hack,
è venuto il momento di chiudere questa missiva; avrei potuto continuare per altre tre o quattro puntate per parlare delle vie che ci conducano a Dio, ma una voce mi dice che non devo estenuare i  miei lettori nella pretesa di esporre compiutamente il mio pensiero.
In quest’ultima parte mi concedo di partecipare a lei, a quelli che condividono la sua posizione, a me stesso e a quanti condividono la mia stessa posizione, di mettersi in ascolto dei segnali continui che ci raggiungono nella nostra esperienza personale. Sperimentare la gioia della scoperta dell’Intelligenza, della Bontà e delle Bellezza presenti nelle tracce, nei signacoli e, direi, nei messaggi che intessono la nostra giornata.
Le fusa di un gatto, il gioco di un cucciolo, uno scarabeo che quasi stavi per calpestare, quei papaveri rossi spuntati sul sentiero della tua passeggiata, l’incontro con persone diverse da te, i loro gesti, i loro sguardi, le loro parole. Allora potrai scoprire, con gioia e stupore lo scoprirai, che un bambino può insegnarti molto più di un collega di studio. Chiudo con questa esperienza di catechismo.
Il Colophon di Dio.
Questo fu il tema di una lezione di catechismo ai miei ragazzi di Corazzano.
Colophon è una parola difficile che significa una cosa molto facile: E’ un ghirigoro che completava una firma nei manoscritti antichi. A forma triangolare, partiva dall’ultima lettera della firma e finiva in un punto in basso dove aveva deciso lui, lo scrivente, come per dire: questa firma è proprio la mia.
Un giorno, scendendo i gradoni della nostra antica Pieve, ho visto questo coso sulla parete avoriata che si trova dalla parte del vangelo, o come si dice noi preti, in cornu evangeli. Mi accorsi che era un piccolo scorpione. Mi avvicinai per osservarlo meglio. Lui era fermo, perché questi animali simulano la morte proprio per scansarla. Nel suo piccolo, mostrava una bellezza superba. Più che nero, era bruno come certi inchiostri. Le placche della corazza alle giunture avevano i lucori rossastri che hanno i gamberetti. Immaginai che, immobilizzato dalla paura, lui mi guardasse. Pareva proprio un colophon quel trangolino scuro- Come se fosse la firma di qualcuno. 
Come se qualcuno dicesse: questa Pieve che tu vedi è mia. Mi appartiene. Quello scorpione a me sembrò la firma di Dio.
Riflettei che forse avrebbe potuto impaurire qualche donnina se lo avesse visto e, se avesse punto un bambino, gli avrebbe procurato un bel febbrone. Ma che diritto avevo di schiacciarlo? Di certo discendeva da una dinastia di scorpioni che da chissà quanto tempo avevano preso alloggio in questa chiesa. Dunque c’era prima di me. Lasciandolo avrei voluto dirgli di salire più in alto, verso le capriate.
Ed ora mi domando: ho fatto bene o ho fatto male a non sopprimerlo? Lo domando anche a voi…Ho fatto bene o ho fatto male?
La risposta che ebbi da quei ragazzi fu per me imprevedibile: risposero con un applauso. Che mi commosse.
Chiudo, indicando nome e cognome, impossibilitato a fare una firma autografa accompagnata, come vorrei, da un curioso ghirigoro: colophon, appunto.
San Minato, 5 maggio A.D. 2011.

Don Luciano Marrucci

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