San Tommaso d’Aquino scrisse che di fronte alle inson-dabili profondità del mistero divino noi siamo come dei pipistrelli: la troppa luce ci acceca. Infatti non ci è dato di vedere una realtà o perché c’è troppo buio, o perché c’è troppa luce; proprio per questo i teologi asseriscono che nella visione beatifica l’anima viene fornita di una capacità che chiamano “lumen gloriae”. E’ come dire che qui in terra non si può fissare il sole perché troppo sfolgorante. Tuttavia si conoscono due esseri che sembrano possedere questa facoltà di fissare a lungo il sole fino a sostenerne la luce, almeno per un certo tempo. Uno è l’aquila, che vola sulle quote più alte: sopra le nubi tra il fulgore di scintillanti ghiacciai le iridi dei suoi occhi diventano nere come eclissi e attraverso spiracoli filiformi delle sue pupille può guardare davvero l’astro maggiore. Ma c’è anche l’umile, modesta lucertolina, che ferma come un monile sui muriccioli, sembra avere la stessa capacità. Fateci caso: è capace di stare a contemplare il sole anche nelle ore meridiane. Applico così: nella condizione terrena due sono le possibilità per sostenere una luce superiore: l’acume dei santi dottori, l’umiltà dei semplici, dei piccoli; gli uni e gli altri sembrano dividersi questo indivisibile privilegio di contemplare Dio, anche qui in terra.
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