01 marzo 2013

I ragazzi dell'Acquasanta


Il ricordo della benedizione delle case è affidato agli annali di questo piccolo e quasi introvabile borgo campestre che ha nome Faggeto; ma, ancora di più, esso rimane fisso nella memoria di tutti i ragazzi che hanno indossato le piccole tuniche per accompagnare il prete in questo fantastico itinerario.
A distanza di anni rammentano questo evento come una esperienza che vorrebbero tornare a rivivere ancora.
Prima di partire si suona un doppietto… scempio, come per annunciare: “Non è proprio festa perché siamo ancora dentro la Quaresima; ma se non è proprio festa, siamo lì. Preparate tutto perché si arriva noi!”
Prima di partire per la spedizione si dice una preghiera, ci si accerta che non manchi nulla: il canestro con la paglia in fondo per salvare le uova, i foglietti da lasciare alle famiglie, il secchiello…
“E il pennello?”. “Si dice aspersorio, chiorbone!”
Nella cinquecento c’entriamo in cinque; quando ci vedono sbarcare davanti all’uscio, rimangono meravigliati di quanta roba può contenere quest’uovo: anche questo fa parte della sorpresa.
In genere in ragazzi non sono abituati a far complimenti quando vedono un vassoio di frù frù o altra roba da mettere sotto i denti.
Trovo che quelli di prima schiccheravano di più e allora dovevo badarli perché non ritornassero a casa un po’ brilli; ora preferiscono spume e roba di lattine e si divertono a farmi scomparire quando mi offrono un bicchierino: “Ha già bevuto abbastanza… Gli farebbe male… Lui deve guidare…”
Lo dicono con convincenti sguardi d’intesa a chiunque apra una bottiglia; poi, in macchina, si sganasciano dalle risa, quei mascalzoni.
Per il resto si comportano bene; sembrano “sanluigini” quando rispondono alle formule delle benedizione; tengono sempre aggiornato il numero delle uova: “Ancora sei e siamo a dieci dozzine!”. A loro piace andare a far ova, almeno così dicono.
Crinali di Collina… Notiamo i primi comizi di fiori; il volo del merlo… le grandi conchiglie fossili. E questa è la casa di un vecchio solitario che parlava solo in poesia. Nelle case osservano persone, animali e cose: le riflessioni vengono fuori quando siamo in macchina. Io racconto delle cortissime storie: “Volete una vera storia inventata o che v’inventi una storia vera?”.
Si arriva all’ultima tappa. E’ fissato che lì si fa una merenda che, quasi quasi, è una cena: pane, rigatino, salame e altre cosette appetitose. Il fiasco è nel mezzo. Noi siamo serviti e riveriti. Questo vino ci rende ancora più allegri. Ora non si bevono più sciabordoni, gasati. “Forza ragazzi: alzate i bicchieri anche voi, tanto guido io!”

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