14 marzo 2013

Richiami campestri

Si comincia con gli animali da cortile.
Pulcini: piri, piri!
Galletti e gallettini: chiccheri, chiccheri!
Galline: mime, mime! Oppure: cocche, cocche!
(qui il richiamo diventa più affettivo per la gratitudine che la massaia riserva alla galline che fanno l’uovo).
Anatre: qua, qua! Oppure: ane, ane!
Tacchini: uli, uli! (anche uci, uci!). E per scacciarli? E’ semplice: sciò, sciò!

Per gli animali ad altezza d’anca si trovano per lo più dei nomi propri che vanno nel diminutivo e nel vezzeggiativo. Le pecore vengono chiamate con parole riferite al loro manto (nerina, bianchina, toppina, stellina…) e comandate, quando sono in branco, mediante fischi brevi e ripetuti senza smorzatura finale.
Per chiamare la capra, se non ha un nome appropriato, si dice semplicemente: bezzera o bezzerina (la parola è denominazione secondaria di capra ed è usata qui in funzione vocativa).
E’ da notare che dalla nostre parti il maiale venne detto ciro. La voce di richiamo è: cì, cì! Quando si tratta di invitarlo a mettersi in giacca (vale a dire in posizione prona) si dice: gè, gè!
"Liì" e "lèh" valgono per la partenza e l’arresto del cavallo, mentre "iù" è l’incitamento per farlo correre. Il linguaggio comune era impiegato per i bovini addestrati al lavoro dei campi: Vai avanti! Via! Fermati! Poggia! Gira! ecc..

Quanto al gatto, sembra che l’animale abbia assimilato la filosofia di un modello culturale che lo ha imposto in un ruolo di ospite onorato.
I richiami ad esso riservati sono per lo più dolcissimi e connotano la posizione ravvicinata di cui usa e abusa: micio, micino, ciucio, mucia, ciucino, muci ecc..
Per chiamarlo si fanno schioccare le labbra in aspirazione proprio con il suono di un bacio dato a vuoto!

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