13 dicembre 2010

Principio di una lontana amicizia.

Qualcuno mi chiede dove e a quando riusale il mio primo incontro con Don Lelio Mannari. Un incontro che poi diventò una vera amicizia intessuta di frequentazioni rare ma per per me importanti perché riuscivo a ricucire il discorso sul punto dove era stato interrotto. In definitiva è questa la domnda che mi fanno: da quando lo conoscevi per aver titolo di parlarne con tanta sicurezza?
Ed io rispondo. Rispondo così. partendo da lontano lontano. Avevo si e no 12 anni e stavo passando uno scorcio delle vacanze estive nella Canonica di Don Danilo Maltinti, parroco di Cenaia. Don Danilo Maltinti era stato Sacrista in Cattedrale al tempo della voce che mi chiamò e che io seguii fino a salire per la prima volta quella rampa del nostro Seminario. Ora Don Maltinti era contento di riavermi vicino nella sua nuova Cura d'Anime a Cenaia. Ad un certo punto commparve in Canonica un prete di solida corporatura, che non pareva aver subito le privazioni della guerra. Doveva essere sulla trentina; gli occhi erano così cupi e vivaci da mettere quasi paura, almeno in un in un primo momento. Capelli nerissimi e riccioluti, ma non cresputi, gli coronavano le tempie, gli scendevano fino alla nuca e formavano una capigliatura che ai più poteva sembrare una parrucca da teatro. A Cenaia Don Lelio era stato invitato da Don Danilo per predicare un Triduo per una festa della Madonna. Le tre prediche che ascoltai in quella chiesa furono i sermoni più belli che abbia mi ascoltati da questo predicatore. Il tema che trattò fu semplicemente un commento dello "Stabat Mater". Stupore, ammirazione e commozione per questo oratore che ci metteva l'anima e anche il corpo nel partecipare ad altri l'emozione che lui stesso provava quando trasmetteva il suo pensiero. Solo più tardi arrivai a capire che l'arte oratoria è anche esercizio delle passioni più alte.
Secondo consuetudine antica il predicatore prendeva letteralmente stanza in Canonica, mangiava alla stessa mensa del parroco sia pranzo che a cena. Bisogna sapere che la Parrocchia di Cenaia era del tutto sprovvista di Beneficio parrocchiale, ma aveva una grande risorsa: la generosità dei parrocchiani. C'era un incessante bussare alla porta di don Maltinti proprio in tempo di guerra.
Chi portava un pane dell'ultima infornata; qualcuno aveva pensato di donare un coniglio già spellato o un pollo già spennato. Le primizie dei campi e degli orti erano destinati ad un parroco amatissimo da tutta la popolazione. In quel periodo Don Danilo soffriva di una inesplicabile disappetenza; ma in tavola c'era quanto poteva, non solo placare la fame, ma anche sedare l'appetito. Un appetito così grande in me e don Mannari da fare "respice finem" di ciò che compariva davanti.
Siccome Don Mannari aveva deciso di pernottare in Canonica e la stanza degli ospiti era una sola, bisognò adattarsi nella stessa camera da letto. Don Mannari scelse il letto bastardo, mentre il mio lettino, ricordo, era quasi appoggiato al muro. Faceva caldo e dall'orto della Canonica, che era anche irrigato, si levavano ad una cert'ora nugoli di zanzare che ci avrebbero mangiati vivi. Tra i due letti la spirale dello zampirone sprigionava quella nebbiolina azzurra ed insieme esalazioni sgradevoli; se erano mortali per le zanzare una ragione ci doveva essere. Insomma lo zampirone ci teneva svegli. La prima parte della notte era una vera e propria veglia, ma non come quelle che si fanno ora... Mannari imperversava con le domande ed io rispondevo. Anch'io facevo le domande e allora era lui che rispondeva. Per ore di seguito. In quelle notti sperimentai per la prima volta la gioia di apprendere e quella di possedere. Che cosa? Un po' di sapienza.
E questo è quello che disse Don Lelio a Don Danilo: Da questo bambino ci verrà fuori un filosofo!
Due volte lo disse. Talvolta ci ho ripensato confrontandomi severamente con ciò che potevo essere o diventare; è per questo che non credo ai pronostici.

Nessun commento: