30 maggio 2007

La battaglia di Zama

Annibale e Scipione

Il libro “XXX” delle storie di Tito Livio riporta che i due eserciti (quello romano e quello cartaginese) avevano uno schieramento differenziato e, tuttavia, simmetrico. La fanteria, disposta in triplice ordine, occupava il centro; ai lati Annibale aveva disposto la massiccia mole degli elefanti i cui soli barriti bastavano a terrificare chiunque. Questo era un espediente che aveva collaudato in Italia sull'esempio di Pirro. Dietro i pachidermi c’erano i cavalieri cartaginesi. Cosa oppose quella volta Scipione Africano a queste due temibili ali? Piazzò in gruppi diradati i suoi “velites” dietro i quali c’era la cavalleria romana. In questa maniera Scipione opponeva l’agilità alla potenza: i velites erano quasi nudi e la loro unica arma era un’asta uncinata che poteva essere usata anche come fiocina. Come gli elefanti si mossero, furono subito circondati dai velites e si trovarono praticamente imprigionati nello spazio che avevano occupato. Ci fu un marasma bestiale: gli elefanti impauriti si dettero alla fuga riportandosi proprio nelle retrovie dove erano schierati i cavalieri cartaginesi e li misero in fuga.
A questo punto i cavalieri romani si misero all'inseguimento dei cavalieri cartaginesi. Rimasero in opposizione i due blocchi della fanteria; fu qui che Annibale confermò le sue doti di grande stratega. Proprio per questo Tito Livio osservava che il generale cartaginese dimostrò la sua grandezza, che nella sconfitta fu altrettanto grande quanto nelle precedenti vittorie. Al suo comando lo schieramento del primo ordine si portò verso destra, mentre quello del terzo ordine si portò a sinistra. Nel mezzo si fece avanti lo schieramento dei veterani della campagna italiana tra cui emergevano i temibili Liguri. In tal modo la fanteria romana stava proprio per essere accerchiata; a Scipione non restò altro da fare che ricorrere ad una mossa simmetrica: i suoi soldati allungarono il fronte dei militi come avevano fatto i cartaginesi, ma l’esito del combattimento era piuttosto incerto. La fortuna e, naturalmente anche il calcolo dei cavalieri che inseguivano i cartaginesi, rimediarono alla cosa: lasciarono i loro rivali già dispersi nel deserto senza completare l’inseguimento e ritornarono indietro attaccando alle spalle i soldati cartaginesi. Il combattimento finì in una strage assoluta. Riesumando tutto si può dire che fu proprio la presenza in campo dei velites che determinò la disfatta di un esercito.
Fu la vittoria dell’agilità sulla forza; una norma anche per il certamen tra due avversari, dove se non puoi opporre una forza maggiore, puoi usare una forza diversa.

N.B.
La capacità di adeguarsi ad una nuova situazione cambiando tattica di offesa o di difesa vale soprattutto nel dibattito dialettico, nel quale, il mutamento di mossa, emerge come espediente vincente.

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