Arriva l’arrotino in un casolare di campagna; prende posto sull’aia, davanti alla loggia fa scattare il cavalletto sotto la ruota di dietro. Esce un grido che fa quasi sussultare le massaie: “E’ arrivato l’arrotino!”. Forbici, coltelli, falci, frollane e pennati (che assomigliano proprio a le cime delle alabarde); tutto ciò che è lama, tutto ciò che deve essere affilato e forbito lui lo passa sulla mola. C’è lo strepito della pietra che al contatto del metallo fa scaturire una piccola costellazione di scintille.
L’arrotino fa proprio così quando diventa una specie di quadrumane in sella alla sua bicicletta, pedala con i piedi graduando il movimento del suo strumento; con le mani applica alla pietra l’attrezzo che gli viene presentato, lo restituisce più lucente e soprattutto più efficiente di quando l’ha ricevuto. Se c’è poi da riparare un ombrello (non è uno scudo contro la pioggia, l’ombrello?) dimostra di saper fare anche quello.
In qualche modo il compito dell’Abbas Nullius è assimilabile al mestiere di questo arrotino che si avvale di un aggeggio così rudimentale (uno dei pochi che non sembra inventato da Leonardo Da Vinci). Non si tratta di creare un’arma ma soltanto di forbirla. A volte ci sarebbe la tentazione di smussare lame troppo taglienti; ma bisogna riconoscere che anche un bisturi non bene affilato fa più male che bene.
“Donne, è arrivato l’arrotino!”.
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