30 settembre 2013

Le capre di Moriolo

Lo dico anche se qualcuno sorriderà con (sciocca) commiserazione: ho messo due capre. In un clima di aggiornamenti biblici e liturgici, di conferenze teologiche, di convegni sulla nuova strategia pastorale ho messo due capre. Mi rimane difficile spiegare il significato della sensazione, che talvolta provo davvero, di aver compiuto da solo un cammino di qualche migliaio di anni indietro solo per il fatto di essere diventato pastore (con la minuscola, s’intende) di due capre.
Avrei una lunga storia da raccontare, una storia i cui particolari più trascurabili sono anche i più divertenti.
Mi vedo proprio costretto a fermarmi all’essenziale. La storia è cominciata così. Una sera dico a mio padre: "Perché non mettiamo due capre? Il posto c’è; noi vogliamo bene agli animali; si fa a meno del latte in cartocci che bisogna scendere a comprare in bottega; se poi una di queste ci regala due capretti, a Natale si mangia capretto arrosto a volontà. Ce n’è per noi e per gli invitati". Con mia sorpresa, trovo mio padre d’accordo con me: "E’ vero; per lo più le capre fanno due capretti alla volta. Erba e frasca si trovano a volontà". Per non aver modo di ritornare sulla decisione, si stabilisce subito di andare da un capraio rinomato nella nostra zona.


La scelta

Entrai nella grande stalla al rientro degli animali. Ero al centro, quando avvenne quello che interpretai come un segno premonitore: una bella capra, senza corna, dal mantello avana con qualche riflesso d’argento (una bella pelliccia, non c’è che dire) mi si avvicinò dolcemente e cominciò a morsicare l’orlo del portafoglio che sporgeva dalla mia tasca. Non c’era una maniera più convincente per attirare la mia attenzione. Il pastore capì più del dovuto e disse subito: “Codesta è incinta davvero. Due capretti. Uno lo allevate, uno lo mangiate. A Natale voi mangiate il capretto”. Ma ce ne voleva anche una che assicurasse il latte. Ce ne indicò una balzata addirittura sulla mangiatoia, che sembrava guardarci torvamente: “Quella, è un po’ bizzarra ma due o tre litri di latte ve li da di sicuro: con trecentomila lire le portate a casa tutte e due”.

Zucchina e Macallè

Erano due animali importanti. Quando si rizzavano sulle gambe di dietro erano alte come me. Eppure non avevano un nome. A una, il nome glielo mise un operaio che nel carezzarla sulla testa la chiamò lì per lì “Zucchina”. Mi piacque. L’altra, ancora più grande, ha delle belle corna, il manto con il colore di un cioccolato piuttosto carico.
Una strana V, ben disegnata sulla testa. Ricordando un paese africano attraversato in un dei miei viaggi, la chiamai Macallè.
Impararono presto a rispondere con un belato tremolo di corrispondenza affettiva al nome assegnato. E’ scritto che il pastore le chiama per nome, le pecore, e queste lo riconoscono dalla voce. Ciò è vero anche per le capre.

Prime delusioni pastorali

Per mungere Macallè non avrebbero dovuto esserci problemi. I radi abitanti che circondano la canonica vengono tutti da zone dove le capre sono proprio di casa. Bisogna dire che il suo latte era veramente squisito e anche abbondante, tanto è vero che mi feci insegnare anche a fare il formaggio che veniva eccellente; dato che il latte avanzava. Però era difficile che questo animale si facesse avvicinare da loro. Bisognava essere in due e naturalmente toccava a me reggerla per le corna. “E’ troppo gelosa del suo latte”, mi dicevano. Era davvero un problema perché per avere il latte bisognava essere in due. Altro che bizzarra!
Quando gli “esperti” per un certo periodo si assentarono non mi rimase altra soluzione che mandare Macallè in vacanza nella vecchia mandria; giusto per il tempo di diventare madre. Ed eccola qua, ancora più soddisfatta per non essere importunata neanche una volta per la questione del latte.
Quanto a Zucchina, lei ci ha giocato davvero; trascorsi i cinque mesi di una gestazione a vuoto, non ci ha fatto vedere niente. Altro che parto gemellare! La pancia che appariva un po’ gonfia era dovuta soltanto alle mangiate di orzo, semola e avena che io non le facevo mancare, anche in considerazione del suo stato. E così, se a Natale abbiamo voluto assaggiare il capretto, siamo dovuti andare da un nostro amico macellaio. Per giunta, ho dovuto scoprire che la carne dei capretti e degli agnelli era anche rincarata...

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