23 settembre 2013

Gli annali di Faggetto: Il ritorno di Burenca - Seconda puntata

Come per assecondare la mia intenzione di studiarlo da vicino, l’uomo col mantello esce di chiesa e si sofferma sul gradone di pietra. Meglio: così posso osservarlo bene e scambiare con lui qualche parola.
E’ un tipo sulla cinquantina. Capelli neri brizzolati di bianco; la barba, che sale sopra le gote, si unisce coi baffi a circondare i labbroni avvinati. Ciò che colpisce più in lui è quello sguardo simpaticamente truce che parte da due cerchi neri neri disegnati su due palle bianche e lucenti come porcellana; le sopracciglia, massicce e sfrangiate, sembrano le ali di un uccellaccio. Il mantello ha come fermagli due borchie d’ottone con le teste di due leoni che mordono una catena dello stesso metallo. Giubba e calzoni, di velluto ben scanalato, hanno il colore dell’antracite. Noto che, invece di una normale cintura, porta ai fianchi una fusciacca scura; questo particolare, insieme ai pantaloni alla zuava lo fanno sembrare un carbonaro vestito alla garibaldina.
“Dunque…” incomincio, manifestando l’intenzione di pigliare il gioco in mano.
“Dunque..” ripete lui, dandomi uno sguardo traverso e accennando ad un sorriso, quanto basta per mostrarmi dei denti solidi e ben allineati.
“Come ti chiami?”.
“Il mio nome è Burenca”. Scandisce con una certa enfasi e ultime sillabe.
“Lo sai bene, Burenca è morto da mezzo secolo. Però ho capito: sei uno che intende pigliare il suo posto”.
“Tu ci hai dato dentro! Ora te la fo io una domanda: A te, che te n’importa?”.
“Io sono il pastore delle pecore ed anche dei montoni; me ne devo occupare per forza. Mi dici cosa adoperi per… dare quest’acquasanta alla gente?”. Ho accompagnato la domanda con il gesto di aspergere.
“Con cosa la schizzo? Adopero un mazzettino di ramerino”.
“Proprio come Burenca!”. Allora sei riuscito a trovare il suo libro delle benedizioni!”.
“Senza quello non avrei mai e poi mai incominciato questo mestiere”.
“Ho capito: per te questo sarebbe un mestiere! Approfittare della povera gente dando ad intendere che puoi guarirla da tutti i malanni”.
“Ma lo vuoi capire o non lo vuoi capire che le persone vengono da me senza che io le chiami? La vedi la differenza: tu le chiami in Chiesa e non ti ci vengono. Da me ci vengono e mi portano d’ogni cosa un po’. Io ci so fare e tu no. Tu mi invidi, tu mi invidi e basta”.
“Sta sicuro che non mi passa neanche per l’anticamera del cervello l’idea di rubarti il mestiere! Invece sei tu che vieni qui per rubarmi l’acqua santa”.
“Ma se io adopro quest’acqua benedetta invece della semplice acqua piovana, che male fo? Tu mi devi dire che male c’è!”.
Questo Burenca è un osso duro. Cerco di fargli capire che non bisogna illudere la povera gente.
“E chi illude la povera gente? Vengono da me persone (anche la moglie di un dottore è venuta da me) che sono in pena e ritornano sollevate. Vengono con dei dolori che il medico non sa curare e, con me, si sentono meglio”.
Non c’è verso: non ci si fa. Decido di lasciarlo partire senza levargli il fiasco dell’acqua.
“Burenca, s’è fatto tardi e tu non hai il lanternino per farti lume. Ti do la buonanotte”.
“Buonanotte anche a te! E non te la pigliare per quello che t’ho detto. Per ritornare al casotto c’è un pò di luna: mi basta”.
E’ sparito come sparisce un gatto nero nella notte.
Non era passata una settimana dal nostro incontro, quando ho trovato una sorpresa: attaccata al battente di casa ho trovato una mezza nana con un biglietto firmato da Burenca.

Questo fatto, che rappresentava una specie di partecipazione agli utili, ha prodotto in me un problema morale. Baratto tra una cosa sacra ed una profana? Sarebbe simonia! Ma io non avevo pensato a questo quando gli ho lasciato l’acquasanta e forse nemmeno Burenca ci ha pensato. Come fare? Potrei consultare quelli della Curia; ma, se mi presento con la nana, va a finire che, per tranquillizzarmi, se la mangiano loro. Decido di consultare l’Artusi. L’ho messa in tegame con battuto di cipolla, prezzemolo e carote, più una scorza di limone. Al momento di versare il vino bianco ho tolto l’umido per condire la pastasciutta. E’ venuta bona!


FINE

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