31 gennaio 2012

La parabolla dei talenti II

Con la parola "talento", nel linguaggio corrente ha preso ormai  la prevalenza sul significato originario, quello estensivo. Quindi, più che disponibilità pecunaria, sta a significare: capacità, attitudine, dote connaturale, anche estro, attitudine creativa, potere attrattivo e organizzativo; significa ancora carisma, di cui dò una mia definizione:  un dono consegnato all'individuo a sevizio della comunità.
Il talento si spende nella sfera della collettività; il carisma in quello della comunità: entrambi si esprimono come una forza espansiva, accolti dall'individuo come doni che vengono dall'alto, devono essere partecipati come beni da consegnare agli altri. Ecco come l'agiografo si esprime nel capitolo 7 della Sapienza: "Senza frode imparai la sapienza e senza invidia la dono, non nascondo le mie ricchezze. Essa è un tesoro inesauribile per gli uomini; quanti se la procurano si attirano l'amicizia con Dio".
In questa partecipazione del bene non ci dovrebbe essere posto per l'invidia. E invece c'è questa erbaccia che attecchisce dovunque... Accade che uno, quando scopre che un altro ha una dote che lui non ha, invece di rallegrarsi per una luce che lo può investire, si rattrista per l'ombra che in quel momento produce la propria figura.
Invidia stolta e anche peccaminosa. E' stolta: se scopriamo nel prossimo una qualità che noi non abbiamo, vuol dire che lui è caricato di una responsabilità maggiore; ci dovremmo sentire sollevati ed ancora di più impegnati a scoprire  i doni che ci furono elargiti non per la nostra vanità ma per il servizio degli altri. E' peccaminosa: i peccati contro lo Spirito Santo per lo più sono radicati nel vizio della Superbia; ma ce n'è uno correlato all'invidia. Dice così: invidia della grazia altrui; chi invidia è come se imprecasse contro la mano di Dio che elargisce liberamente e per questo peccato non c'è remissione...

Nessun commento: