04 luglio 2013

Gesti e parole nel costume della nostra gente

Sassi sulla finestra

Resistono, nelle espressioni popolari ancora in uso da queste parti, chiari signacoli sulle cui tracce è possibile fare un viaggio affascinante nella storia del costume della nostra gente. Si scoprono in questo cammino i gesti e le parole che compongono il segno di una liturgia popolare che ha per lo più intonazione cristiana, in una ritualità che accoglie il profano e perfino il pagano. Si pensi per un momento alla festa di San Lazzaro; in quest’occasione le ragazze lanciano accuratamente un sasso verso la finestra della chiesuola cercando di farlo rimanere entro il davanzale interno. La ragazza che ci riesce deve precipitarsi a darne annuncio facendo suonare la campanella della sacrestia: troverà il fidanzato entro l’anno e, se è più fortunata, anche il giorno stesso.

La leccata del bue

Il bambino “rinnova” il fonte se per primo usa l’acqua benedetta nel Sabato Santo: si possono trarre buoni auspici sul suo avvenire. Si stava attenti, durante la vecchia cerimonia del Battesimo, se la creatura succhiava volentieri il sale deposto sulle sue labbra: “Se mangia il sale diventerà sapiente”.
A volte il bambino ha una strana “ritrosa” sulla fronte, per cui i capelli tendono da quella parte ad andare all’indietro; si dice semplicemente che “ha la leccata del bue”. L’espressione, ignota, nella sua spiegazione anche a chi la usa, ha fondamento in una delicatissima tradizione popolare: Gesù nasce tra il bue e l’asinello. E’ accaduto che il bue si è avvicinato un po’ troppo… e ha leccato il Bambino sulla fronte con un complimento che riserva ai vitellini. Sta il fatto che chi porta questa “leccata” ha il segno di un carisma che lo configura un po’ al Redentore.
Il bambino nella culla fa delle piccole smorfie, sorride tra sé, alluna gli occhi: ha il “benedetto” si dice. Ma che cos’è questo “benedetto” ? Ho provato a domandarlo alla gente. E’ quando uno sogna e sta sveglio.
E’ quando uno parla con sé e con noi no. Ci aiuta il grande dizionario del Battaglia: “Morbus sacer, mal caduco, che nei bambini è detto ‘mal benedetto’”.
La madre osserva con un po’ di rispetto e un po’ di allarme gli accenni di quella estasi malata che parla di incomunicabili visioni che può avere il piccino in quei momenti particolari.

I bambini vanno ritti prima...

Il bambino che entra in un gregge e riesce ad abbracciare tre pecore sarà sempre fortunato (forse perché l’operazione è davvero difficile!). Nella campagne, nell’imminenza di un temporale, toccava al più piccino“buttare” l’acqua santa. Così si eliminano i danni. Gli si insegna anche che il pane non si deve gettare via. Se proprio è necessario, prima deve baciarlo.
Nella notte di Natale non si deve spegnere il ceppo sul camino. E’ segno buono se si trova acceso la mattina. Per la nottata tra i Santi e i Morti si accendono i lumini in casa, perché in quella notte i morti “girano” e vengono a far visita alle loro case. Allora no si va a veglia perché si potrebbero incontrare e si va a letto per non disturbare… Si usava, dopo lo scioglimento delle campane del Sabato Santo, “sfruconare” la terra dei vasi delle viole: “così vengono doppie”. In questa occasione i bambini venivano fatti attraversare la strada, perché “così vanno ritti prima”.
In Val d’Egola al suono delle campane del Sabato Santo si abbracciavano gli alberi da frutto: “così daranno più frutti nell’annata”.

La croce sul pagliaio

Per San Giovanni si fanno i fuochi e si brucia la “mosca”: un mazzetto di spighe di grano, con un capo d’aglio, indicato contro le streghe. Si usa anche l’acqua di S. Giovanni e quella della Madonna. Ci si mettono dentro dei petali di rosa; la catinella deve stare a cielo aperto tutta la notte; la mattina ci si lava con quella per diventare… più freschi e più belli.
Tuttora in alcune parrocchie si fa la benedizione della mortella (il mirto), pianta sacerdotale presso i Romani. Serve ad allontanare le bufere.
Biade vengono benedette e destinate a gli animali da stalla che devono assaggiare anche il pane di S. Antonio. Un ramo di ulivo ed uno di mortella venivano issati allo stollo del pagliaio. La croce del pagliaio deve “guardare quella della Chiesa a cui il popolo appartiene”.

1 commento:

Unknown ha detto...

Benissimo hai fatto a raccontare piccoli, ma significativi aneddoti testimoni di una cultura semplice, agreste e carica di pathos che solo, forse, chi li ha "vissuti" può apprezzare.