30 settembre 2012

Professore, ti scrivo...


Carissimo Professore,
ho appreso con stupore (ma non tanto) che hai organizzato dei corsi di "logica".
Io conservo ancora gli appunti delle Tue lezioni (1960-1961, o forse 1962), conservo ancora il Berghin-Rosè (lo ricordi?) , ricordo ancora, con precisione e nell'ordine, le 8 regole (in latino) del sillogismo. Mi ricordo ancora le tipologie di sillogismi in BARBARA, CELARENT, DARII, FERIO, DISAMIS, FELAPTON etc.
Lo stupore non sta nel fatto che Tu insegni logica, ma che Tu abbia il coraggio di insegnare ciò che la società (solo quella italiana?), da tempo, rifiuta.
Si vive ormai nel più grande e popolato palcoscenico del teatro dell'assurdo. E a molti fa comodo: ragionare è una specie di "dolore della mente"; mentire, ingannarsi, "rappresentarsi", anzichè essere, o ricercare il vero, è più comodo, meno impegnativo.
Del resto "credere, obbedire e combattere" (ma ora neppure combattere) ha acquietato moti "spiriti" in passato, ma sembra che anche ora possa essere una bandiera utili per molti. Mi vengono a mente molti politici che riescono a non dire nulla e la "gente" è convinta che abbiano detto qualcosa. E' così convinta che anche se dicono l'opposto non se ne accorgono.
Insegnare "logica" oggi è una specie di avventura  "in partibus infidelium", ma è la cosa più coraggiosa e più sensata che si possa fare oggi. E' una specie di "missione", un nobile tentaivo di dissodare un terreno indurito e arido. Da tempo anch'io sono convinto che questa società potrà salvarsi se comincerà a ristudiare "il catechismo", i vari catechismi, le idee di base, le impalcature della mente, la logica insomma. Costringere la "gente" a ragionare, fornendola di strumenti adatti, avere la pazienza necessaria e attendere che spunti qualcosa è certamente un impegno sociale dei più meritori.
A proposito di coraggio non posso dimenticare "la coraggiosa" lettura in classe (4 e 5 ginnasio) di Jerome K. Jerome (Tre uomini in barca); era quasi una lettura clandestina e, forse, sospetta in un Seminario di quegli anni, un "incursione" nel "futile", nel leggero rispetto alle impostazioni (anche preconciliari) dell'epoca.
E ricordo anche la mia "battaglia persa": dovetti imparare a mente "Il risveglio della fontana" (D'Annunzio) e "La madre di Lucia" (Promessi sposi). Ricordo tutto. E' il risultato di un buon insegnamento.
Verrò a trovarTi presto.

Un caro e affettuoso saluto,

Tusco



Carissimo Tusco*,
il tuo messaggio mi è giunto come un abbraccio: quello che a quei tempi non ci era dato di scambiarci; anche perché il ruolo che ci avevamo scelti era quello di due lottatori di palestra in cui, qualche volta, proprio io, che ti avevo insegnato la mossa  vincente, ero costretto a toccare il tappeto.
In certi momenti arrivavo a capire che il tuo atteggiamento era anche il risultato di una crisi non dichiarata. Quella fermentazione interiore che uno può provare a quell'età e che spesso ti fa combattere proprio contro contro chi si ama. Contro chi si ama e contro chi si apprezza: Non ti devi stupire se io, quando capita l'occasione, cito il tuo nome per quello che è diventato un alunno ribelle, ma ancora di più, intelligente. Ringrazio Dio di averti incontrato in un segmento di vita molto importante, almeno per me.

DonLù

* Tusco è il soprannome che abbiamo concordato insieme per evidenziare l'anonimato.

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