07 novembre 2013

Napoleone a San Miniato - Seconda parte


Solo nella sua stanza, Buonaparte gettò la spada e la giubba in un angolo e poi scrisse un biglietto a Giuseppina, venti righe poco leggibili, dove gridò il suo temperamento violento e controllato. Poi dopo aver piegato il foglio scacciò bruscamente l'immagine di questa donna, come si chiude un cassetto. Poi dispiegò una pianta di Mantova e scelse un punto sul quale egli avrebbe piazzato l'artiglieria. Era ancora intento nei suoi calcoli, quando sentì bussare alla porta. Credette che fosse Berthier.
Era il canonico che veniva a chiedergli un momento di ascolto. Portava sotto il braccio due o tre fascicoli ricoperti di pergamena. Il generale guardò quelle carte con una certa derisione. Era sicuro che fosse la genealogia di Buonaparte e non voleva che sorgesse una inesauribile conversazione. Tuttavia non lasciò apparire alcuna impazienza. Lui non andava in collera se non quando lo voleva espressamente. Ora non aveva alcuna voglia di dispiacere al suo buon parente; al contrario, desiderava essere gentile con lui. E, per di più, non era contrario a conoscere tutta la nobiltà della sua razza. Mentre i suoi ufficiali giacobini non erano più presenti per prendersene gioco o per alimentare dei sospetti. Pregò il canonico di sedersi. Quello prese una sedia, pose i suoi fascicoli sulla tavola e disse:
– Caro nipote, io avevo cominciato durante la cena a parlarvi dei Buonaparte di Firenze; ma compresi per ciò che mi avete fatto capire, che quello non era il luogo per parlare di questa cosa. Io mi sono taciuto, riservando per questo momento qui ciò che era essenziale. Io vi prego, caro parente, di ascoltarmi con attenzione. La branca toscana della nostra famiglia produsse degli uomini insigni, tra i quali conviene nominare Jacopo Buonaparte, il quale è stato testimone del sacco di Roma nel 1527 e fece una relazione di questo evento. E Niccolò, autore di una commedia intitolata 'La vedova' che qualcuno vanta come opera di un altro Terenzio. Tuttavia non è di questi lustri antenati che voglio parlarti, sebbene di un terzo che li eclissa in gloria come il sole sbiadisce le stelle. Dovete sapere che la nostra famiglia annovera un beato tra i suoi membri, Fra Bonaventura, discepolo riformato di San Francesco, che nell'anno 1593 morì in odore di santità. Nel pronunciare questo nome il vegliardo s'inchinò. Poi riprese con un calore che non ci si sarebbe atteso né dalla sua età e né da i suoi modi indulgenti.
Fra Bonaventura! Ah! Caro parente, è a lui e a questo buon padre che voi dovete il successo delle vostre armi. Egli era vicino a voi, non ne dovete dubitare, quando folgoraste, come avete detto a cena, i nemici della vostra parte sui gradini di San Rocco. Questo cappuccino vi ha condotto in mezzo alle battaglie, state sicuro che senza di lui voi non avreste avuto successo né a Montenotte, né a Millesimo e né a Lodi. I passi della sua protezione son troppo eclatanti per non essere visti ed io riconosco nei vostri successi un miracolo del buon frate Bonaventura ma ciò che qui importa sapere, caro parente, è che quel sant'uomo aveva le sue intenzioni quando dandovi un vantaggio sullo stesso Beulieu vi ha menato di vittoria in vittoria fino a questa antica dimora dove voi riposate, questa notte, sotto la benedizione di un vecchio. Io sono precisamente qui per rivelarvi le sue intenzioni. Fra Bonaventura voleva che voi foste istruito sui suoi meriti, che voi conosceste i suoi digiuni, le sue austerità e i silenzi di una intera annata ai quali egli si condannò. Egli voleva farvi toccare il suo giudizio e la sua corda, e i suoi ginocchi così incalliti ai gradini dell'altare, per cui camminava contorto come una Z. Ed è per questa finalità che egli vi ha portato in Italia dove voi avete l'occasione di rendergli servizio per servizio.
Perché, lo dovete sapere, caro parente, se questo cappuccino vi ha molto aiutato, dalla vostra parte voi potete essergli veramente utile.
A queste parole il canonico pose le mani su i grossi fascicoli che giacevano sulla tavola e respirò lungamente.
Buonaparte attese senza dire niente il seguito di questo discorso che lo interessava. Non c'era uomo più distraibile. Dopo aver respirato, il vegliardo riprese la parola:
– Sì, caro parente, voi potete essere molto utile al buon fra Bonaventura ed in questo caso egli ha bisogno di voi. Beatificato da più di lunghi anni, egli attende ancora di essere inserito nel calendario. Languisce, il buon fra Bonaventura.
– E che posso fare io, povero canonico di San Miniato per procurargli l'onore che gli è dovuto? La sua inscrizione richiede delle spese che oltrepassano le mie possibilità e le risorse del Vescovo! Povero canonico! Povero Vescovo! Povero Duca di Toscana! Povera Italia! Voi, caro parente, chiedete al Papa che riconosca fra Bonaventura. Egli l'accorderà. Sua Santità, per riguardo verso di voi, non si rifiuterà di mettere un santo in più nel calendario. Un grande onore convergerà su di voi e sulla vostra famiglia, e la protezione del buon cappuccino non vi verrà mai a mancare! Ignorate la gioia di avere un santo in questa famiglia?
E il canonico, mostrando i fascicoli delle pergamene, pregò insistentemente il Generale di metterli nella sua valigia. Questi contenevano la memoria sulla canonizzazione del fra Bonaventura con le pezze d'appoggio.
– Promettetemi, aggiunse, che vi occuperete di questa cosa, la più grande che possa interessarci.
Buonaparte contenne la sua ilarità.
– Io sono piazzato male, disse, per intraprendere un processo di canonizzazione! Voi ignorate che la Repubblica francese sta richiedendo alla corte di Roma la riparazione dovuta per la morte dell'ambasciatore Bassville, vilmente assassinato.
Il canonico si ritrasse.
– Corpo di Bacco! La curia di Roma farà le sue scuse, caro parente, essa verrà incontro a tutte le riparazioni dovute ed il nostro cappuccino sarà messo in calendario.
– Le negoziazioni, non vengono svolte in tempi rapidi, replicò il Generale repubblicano. Bisogna ancora che la curia romana riconosca la costituzione civile del clero francese e che rompa con le sue mani l'Inquisizione, che affligge l'umanità ed usurpa il diritto degli Stati.
Il vegliardo sorrise.
– Mio caro figliolo Napoleone, il papa sa che bisogna dare per ricevere. Cede a proposito, egli vi attende. E' durevole e pacifico.
Buonaparte rimase a pensare, come se delle nuove idee venissero a fissarsi nella sua possente mente. Poi tutto d'un colpo:
– Voi non conoscete lo spirito del secolo, c'è una forte irreligiosità in Francia. L'empietà vi ha preso campo. Voi ignorate il progresso delle idee di Montesquie, di Raynal e di Rousseau. Il culto è abolito, si è perduto il rispetto, voi ve ne siete accorto dagli interventi scandalosi fatti da i miei ufficiali alla vostra tavola.
Il buon canonico scosse la testa.
– Oh! Questi amabili giovani sono superficiali, dissipati, storditi! Questo per loro passerà, tra dieci anni essi correranno meno dietro alle ragazze ed andranno a messa. Il carnevale dura pochi giorni ed anche quello della vostra Rivoluzione francese non durerà per lungo tempo. La Chiesa è eterna.
Buonaparte confessò che lui stesso era troppo poco religioso per intromettersi in un affare del tutto ecclesiastico.
Allora il canonico lo guardò negli occhi e gli disse:
– Mio ragazzo, io conosco gli uomini. Io vi conosco, voi non siete un filosofo, occupatevi del beato padre Buonaventura. Egli vi renderà il bene che avrete fatto a lui. Quanto a me, io son troppo vecchio per vedere il successo di questa grande impresa, io presto morirò lasciandola a voi nelle vostre mani, io morirò tranquillo. E soprattutto non dimenticate mai, mio parente, che tutto il potere viene da Dio attraverso la mediazione dei suoi ministri. Si alzò in piedi, alzò le braccia per benedire il suo giovane nipote e se ne andò.
Restato solo, Buonaparte sfogliò la voluminosa memoria alla luce torbida della candela; pensò alla potenza della Chiesa e disse tra se che l'istituzione del papato era più durevole della Costituzione dell'anno III. Qualcuno bussò alla porta, era Berthier che veniva ad avvertire il Generale che tutto era pronto per la partenza.




Il canonico Filippo Buonaparte, morì il 24 dicembre 1799 all'età di settantasette anni. Fu sepolto nella chiesa di santa Lucia, presso San Miniato di cui godeva il giuspatronato. La sua tomba, al centro della chiesa, fu sconquassata dalle macerie in seguito al crollo del tetto avvenuto nel 1944 a causa di un bombardamento americano durante la battaglia di Calenzano.

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