13 gennaio 2015

To be, or not to be, that is the question

William Shakespeare (23 aprile 1564 – 23 aprile 1616)

E’ la formulazione di un dilemma che, probabilmente, ha raggiunto una divulgazione che non ha paragoni. La troviamo nel III atto dell’Amleto di William Shakespeare. Un dilemma che inizialmente ha un’impostazione speculativa (possiamo anche dire metafisica), infatti enuncia, nei due poli, due opposti di ordine metafisico: essere o non essere.
Nel suo sviluppo il dilemma diventa pratico ed anche morale, in quanto si estende alla sfera del comportamento e delle scelte che orientano l’agire umano.

Essere o non essere… Questo mi chiedo: se sia più degno soffrire nell’intimo cuore i colpi ed i dardi di una sorte crudele, o prendere le armi contro un mare di affanni e, lottando, finirli.
Morire… Dormire, non altro; e con un sonno dire che poniamo fine alla sofferenza del cuore, ed alle mille offese naturali che sono l’eredità della carne! E’ l’epilogo cui dovremmo devotamente mirare.

To be, or not to be, that is the question whether 'tis Nobler in the mind to suffer the Slings and Arrows of outrageous Fortune, or to take Arms against a Sea of troubles, And by opposing, end them?
To die, to sleep no more; and by a sleep, to say we end the Heart-ache, and the thousand Natural shocks that Flesh is heir to? 'Tis a consummation devoutly to be wished.

Il dilemma compare spesso anche nel linguaggio parlato. C’è una rappresentazione nel discorso comune in formule volgarizzate: o mangiar questa minestra o saltar quella finestra; ed anche o bere o affogare.
Nel Vangelo troviamo un esempio di dilemma risolto, nel senso che viene già enunciata la risposta che corrisponde alla proposta di una scelta: Che giova all’uomo guadagnare tutto il mondo, se poi perde l’anima? Dove è evidente che si dà una risposta alla domanda: è meglio avere il massimo successo o assicurarsi la salvezza dell’anima?

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