Come suona la campana? A rintocchi e a distesa. Si suona a festa
o a morto; anche per allontanare la
bufera, il fulmine e il turbine della grandine. Raramente a martello (si fa brandendo il battaglio con la mano e percuotendo
il labbro della campana dalla stessa parte): è segno di allarme e si invita la
gente a radunarsi presso la chiesa.
Le campane hanno un nome, oltre
che una voce; il popolo riconosce la campana dalla voce. Il nome è inciso sul
bronzo insieme a quello della ditta costruttrice e a quello dell’oblatore. San
Giovanni, Santa Maria Assunta, La Misericordia, Gesù Bambino ed anche Maria
Bambina (nomi per le campane più piccole). La gente le chiama anche con la
parola legata alla loro diversa funzione: L’Avemaria,
Il Credo, la campana delle nove, la mezzana, il campanone. Non manca sul
bronzo anche il motto. Si legge ad esempio: Sub tuum praesidium, A fulgore et
tempestate, Lugeo defunctos (piango i
morti). Si dice suonare l’Avemaria,
Mezzogiorno, L’or di notte, Il Credo, l’alba e le ventiquattro. C’è anche il suono a dottrina che vale per i ragazzi invitati alcatechismo ed ancora, in
alcuni Comuni che posseggono una campana sullo stesso campanile, a magistrato: è quella che convocava i
consiglieri comunali nella sala del Municipio.
Nella nostra Cattedrale di San
Miniato, sul lato nord, c’è anche la campana del coro: serviva a chiamare i canonici ed i cappellani alla recita
delle Ore. Aveva una voce argentina (segno che nella fusione della campana c’era
una buona parte d’argento); era la voce più alta, destinata ad invitare il
Clero residente intra moenia; ma si
poteva sentire non solo nel suburbio, ma anche nella campagna, fino a Marzana
ed ai Cappuccini; il suono, oltre che insistente, era anche gradevolmente squillante, grazie
al metallo nobile impiegato nella fusione.
Come e quando
Il “doppio” si ha quando più campane suonano insieme (l’accordatura può
essere in minore e in maggiore). Per le festività il doppio si faceva precedere
dall’accordo.
L’accordo si fa così: avanti la
più piccola; la piccola smette e attacca quella un po’ più grande. Questa fa la
sua suonata poi cede il suono all’altra, così fino al campanone.
Poi si ricomincia con la più
piccina; questa volta però continua e aspetta le sorelle maggiori; così di
seguito con le altre fino a che non si forma il doppio. Con l’esaltazione della
individualità e della coralità delle diverse voci si ottiene un effetto di
giubilo e di solennità irraggiungibile con altri strumenti. L’inizio della funzione
viene annunziato dalla “lunga” (la
campana che insiste a suonare quando le altre hanno smesso) e segnato dal “cenno”. Lo dà una campanina fuori
accordo colocata sopra la sascrestia,;tirata un po’ a strattoni; la voce, nervosina e petulante, pare che
dica: “Ci sei o non ci sei? Qui si comincia! Te l’avevo detto. Il prete entra
ora”.
C’è da noi un bel proverbio che
dice: “Una campana fa a un popolo”. Significa: può bastare anche una campana. E
qui mi viene in mente quello che ripeteva il Canonico Agnoloni: “Ne quid
nimis”. Attenzione a non esagerare! E’vero che non c’è un suono più bello di
quello delle campane; ma fino a poco tempo fa si tendeva ad abusarne: con
troppi doppi, troppi lunghi, suonati troppo in anticipo. Bisogna rendersi conto
che i ritmi del lavoro e del riposo sono mutati e, dire, sterzati; è ingiusto
dare la sveglia a chi ha bisogno di riposare ancora! Non è più il tempo in cui
occorreva dare avviso di partire per tempo (un’ora prima) visto che il percorso
si può programmare con l’orologio ed abbreviare con l’auto.
L’elettrificazione delle campane,
oltre che ridurre incontestabilmente la grazia del suono (considerata
l’invariabilità del metro che può rendere monotonia), ha accresciuto la loro
disponibilità ad un servizio pesante. Ma le campane non sono elettrodomestici; bisogna
fare in modo che la loro voce, meno invadente, giunga più gradita.